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Il Totocalcio compie 73 anni e io ricordo il mio rito da bambina col nonno

Ci convocava nella stanza (con i cugini) e ci faceva compilare una colonna ciascuno con quei segni strani: 1-X-2. Un giorno, ci diede mille lire a testa.

Il Totocalcio compie 73 anni e io ricordo il mio rito da bambina col nonno

Oggi il Totocalcio compie 73 anni, ho letto ricordi bellissimi in rete e citazioni di film che mi fanno ricordare che i social, usati bene, sono uno straordinario mezzo di condivisione di massa. Ma non voglio affrontare questo discorso e aprire un dibattito intorno all’uso che facciamo dei social

Quando ho scoperto che  era il compleanno della schedina e mi sono subito venute in mente i miei sabati da bambina. Ore interminabili segregata in casa dei nonni e costretta ad un pranzo di 15 portate che neanche Obelix avrebbe retto. Ma c’era una cosa che mi faceva brillare gli occhi e mi faceva correre svelta per strada nel timore di fare tardi, la schedina. E già, la schedina del Totocalcio era il nostro rito, solo i nipoti e il nonno. A ripensarci, forse è l’unico ricordo che ho davvero di lui, un uomo silenzioso e discreto, senza grandi entusiasmi se non quello per la schedina. Non credo di aver mai visto il nonno tifare né per il Napoli, né per nessuna altra squadra, ma la schedina sì, quella era sacra.

L’appuntamento era nella sua stanza, lui ci aspettava con una decina di schedine sulla scrivania e ne dava una a ciascuno di noi. Poi ci ricordava che dovevano compilare solo una riga e potevamo mettere 1, 2 o X e alla fine ci consegnava lo scettro del potere, la penna. C’erano solo 13 partite sulla schedina, eppure ci impiegavamo anche un’ora per terminare di compilarla, nascondendo ognuno la propria per paura che il cugino potesse copiare il risultato. Era un onore. Era una consacrazione del nostro valore; ci faceva sentire grandi, presi in considerazione niente di meno che dal nonno, e proprio per questo ne sentivamo il peso e ci concentravamo come per timore di sbagliare.

Una volta terminata la delicata operazione, il nonno le raccoglieva, indossava il suo cappello dalla falda larga e scendeva. Per un po’ di anni ci siamo chiesti dove andasse con le nostre schedine, pensando che fosse un gioco nostro e non sapendo che esistevano il Totocalcio e le ricevitorie. Poi, un bel giorno il nonno non ci consegnò la solita schedina bensì mille lire ciascuno. Eravamo spiazzati, pensavamo di aver commesso un errore e di aver perso per sempre il nostro gioco. Nessuno aveva il coraggio di chiedere, ci guardavamo tra di noi senza parlare, finché il nonno disse: “Questi ve li siete guadagnati, metteteli nel salvadanaio”.

Non ci aveva svelato l’arcano, ma almeno sapevamo di non aver fatto nulla di male. Infilammo in tasca il nostro bottino e ci dedicammo al nostro compito con la nuova schedina.

Col tempo ho imparato le regole del Totocalcio, ho capito cosa significavano quel 1, 2 e X che segnavamo vicino ai nomi delle due squadre, ma non ho mai più giocato. Dopo la morte del nonno, non ho più compilato una schedina, l’entusiasmo, forse l’incoscienza e quel sentimento di sentirsi grandi e importanti è rimasto chiuso nella sua stanza.

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