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Repubblica: De Rossi voleva fare fuori Totti, il Pupone si è vendicato

Le mail che svelano la profonda frattura nella società giallorossa. Il pupone ha ripreso il controllo e ha fatto terra bruciata

Abbiamo ancora sotto gli occhi l’addio di Daniele De Rossi alla Roma, con l’abbraccio a Totti e le lacrime agli occhi del campione giallorosso.

Ma sotto il diluvio dell’Olimpico, raccontano oggi Carlo Bonini e Marco Mesurati, su Repubblica, tra i due storici giallorossi si sente un misterioso “non volevo”.

Il quotidiano, incuriosito dalla faccenda, ha indagato, accedendo a fonti dirette e carteggi interni, in particolare ad una mail che cambia l’immagine del rapporto tra i due capitani e scopre

“un grumo di ricatti e trame di spogliatoio che dice molto non solo della Roma e di Roma, ma anche del doppiofondo del calcio professionistico. Del peso politico dei club, degli appetiti che suscita, degli strumenti non ortodossi per conquistarlo. Del ruolo dei campioni e delle bandiere”.

Tutto comincia a metà agosto 2018. In quel momento il bilancio societario è in ordine, i paletti del fair play finanziario sono pienamente rispettati, la squadra è al dodicesimo posto nel ranking Uefa ed è appena venuta fuori da una semifinale di Champions. Le statistiche, scrive il quotidiano, la danno nona tra i club europei per investimenti in calciatori, negli ultimi dieci anni.

Ci sono state cessioni importanti, come Alisson e Nainggolan, ma è anche stato preso Nzonzi. Che, però, non piace a Daniele De Rossi.

“Ritiene quell’acquisto un avviso di sfratto, considerando il francese un suo doppione”.

Ecco perché manda avanti il suo agente per chiedere la rescissione del suo contratto. Non solo. Affronta la dirigenza della Roma di petto e, arrabbiato, la minaccia:

“Se non risolviamo la cosa, vi faccio arrivare decimi”.

Lo strappo viene ricucito ma la cosa non finisce lì. Qualcosa si è rotto: “lo spogliatoio è una polveriera”. A rompere il muro di silenzio e a smascherare “l’inciucio” è Ed Lippie, preparatore atletico e uomo di massima fiducia di Jim Pallotta, che ha appena lasciato la Roma dopo tre anni per tornare a Boston.

Lippie scrive una lunga mail a Pallotta in cui gli dice di “avere ancora occhi e orecchie dentro Trigoria” e che le sue fonti lo informano continuamente. E’ venuto a conoscenza di una cordata di quattro senatori contro Di Francesco, colpevole di portare avanti

“un gioco dissennato, dispendioso sul piano della corsa ma misero su quello della tattica. Lamentano l’indebolimento della squadra”.

I quattro sono De Rossi, Kolarov, Dzeko e Manolas. I loro nomi sono scritti nero su bianco.

A Trigoria, scrive Lippie, il direttore sportivo Monchi è accusato di aver portato in squadra giocatori per i quali vincere o perdere è la stessa cosa. E’ visto come un uomo dai rapporti doppi, insofferente verso i calciatori di seconda fascia. Anche il mister è atterrito dall’aver accettato, da lui, un mercato che non si adatta al suo 4-3-3.

Ma c’è un’altra bomba che lancia Lippie nella mail. La squadra, a quanto riferiscono le sue fonti, è insofferente verso Totti dirigente. Scrive che

“l’ottavo re di Roma, il suo figlio prediletto, è mal tollerato da coloro a cui ha consegnato il testimone e che pubblicamente non smettono di celebrarlo”.

In squadra c’è chi chiede che l’ex capitano sia allontanato da Trigoria,

“se necessario cacciando Di Francesco cui Totti è legatissimo. E sostituendolo con qualcuno che lo tenga lontano”.

Lippie scrive anche che, da quanto dicono le sue fonti, sono a spingere per l’allontanamento di Totti sono il fisioterapista Damiano Stefanini e, soprattutto, il medico sociale, Riccardo Del Vescovo. Pallotta, colpito dalle confidenze di Ed, informa Monchi, Totti e l’intera struttura societaria, a partire dall’allora dg Mauro Baldissoni e dal media strategist Guido Fienga.

“Monchi rassegna le dimissioni (che vengono respinte). Per Totti quel racconto è una ferita profonda. Occorre mettere mano dentro lo spogliatoio – dice alla società – e bisogna cominciare proprio dal medico e dal fisioterapista; le cose non potranno che andare peggio”.

Ma ci sono ancora da affrontare i traguardi di stagione e sia Monchi che Di Francesco non vogliono una crisi che danneggerebbe la squadra. Il dilemma è se venire o meno a patti con i senatori, tra l’altro, a Roma,

“lo spogliatoio ha un filo diretto con la curva”.

Alla fine decidono di “metterci una pezza”. La società chiede a Monchi la possibilità di immaginare un nuovo allenatore se la situazione sportiva dovesse precipitare, ma Monchi rilancia dicendo che se va via Di Francesco andrà via anche lui.

Pallotta e i suoi soci fanno l’unica cosa possibile: ridistribuiscono deleghe e mansioni: ceo diventa Guido Fienga, la vicepresidenza va a Baldissoni.

“La squadra intanto entra in un tunnel da cui non uscirà più”.

L’allenatore si propone per il sacrificio, se questo può aiutare a risolvere il conflitto dello spogliatoio, ma il momento non lo consente, con la prossimità degli ottavi di Champions.

Quando poi dalla coppa la Roma viene esclusa, vengono messi alla porta Di Francesco, Monchi, Del
Vescovo e Stefanini.

“Nessuno fuori da Trigoria si chiede il perché, ci si accontenta della versione ufficiale, quella che li vuole responsabili dei troppi infortuni. Lo spogliatoio il perché lo conosce. E prende le difese di Stefanini, cui De Rossi è legatissimo (è una delle tre persone che il capitano citerà nella sua lettera di addio)”.

I senatori, scrive Repubblica, sono convinti che sia stato Francesco Totti a decidere di mandarli via. E tra i due ex capitani cala il gelo, un gelo che durerà fino alla fine, fino all’abbraccio di domenica sera, appunto e a quella frase sussurrata sottovoce: “non volevo”.

Adesso si capiscono meglio, scrive il quotidiano, “i modi e i tempi dell’infelice addio tra De Rossi e la Roma” e anche perché esistano versioni opposte su come sono andate le cose.

 

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