Sul Corriere della Sera la sua proposta per salvare il calcio e non ridurlo a un affare per ricchi, per riempire gli stadi e far crescere gli abbonamenti tv

Sul Corriere della Sera la proposta di Massimo Gramellini per rendere più avvincente un campionato che giudica noioso, tanto che “nemmeno la Juve si diverte più a vincerlo”.
“Ogni anno, a Natale, due tifosi italiani su tre sanno già che non lotteranno per lo scudetto. Con il passare delle settimane aumentano le partite inutili, mentre il numero esagerato di partecipanti abbassa ulteriormente il livello dello spettacolo”.
A decidere tutto non sono quasi mai gli scontri diretti, scrive, ma gli incroci inutili contro avversari che non hanno più stimoli che li spingano a vincere. Tutto ciò ha ripercussioni sugli stadi, che restano vuoti, e sulle pay-tv, che non riescono a trattenere gli abbonati.
“Le società più ricche si sono rese conto del problema e vorrebbero abbandonare le altre al loro destino per consacrare il fine settimana a un campionato europeo modello Nba, relegando quello nazionale nel ripostiglio attualmente occupato dalla Coppa Italia. Si realizzerebbe così anche nel calcio quell’effetto mica tanto collaterale del capitalismo moderno che ha già intaccato altri settori: la distruzione del ceto medio”.
E allora Gramellini avanza la sua proposta. Un campionato a sedici squadre, come negli anni Settanta. Una stagione con 30 giornate fino a Pasqua, poi le prime otto ai playoff per lo scudetto e le altre ai playout per la salvezza.
“Il tifoso di una squadra che in inverno fluttuava tra il settimo e il dodicesimo posto ha potuto sperare fino a marzo di entrare nella élite del calcio e, in teoria, di vincere il torneo. Ma qualunque sia poi stato il suo destino, ora comincia il divertimento”.
Gli scontri diretti ravviverebbero la lotta.
“La prima sfida l’ottava, la seconda affronta la settima e così via. Va in semifinale, e poi in finale, chi vince due partite su tre. L’andata si gioca in casa della squadra meglio piazzata nella «stagione regolare», che avrà diritto a disputare davanti al proprio pubblico anche l’eventuale «bella». Ogni partita si chiude con un vincitore: se non lo decidono i tempi regolamentari e supplementari, la scelta è affidata ai calci di rigore”.
Persino i mercati asiatici, scrive Gramellini, comprerebbero i diritti televisivi a peso d’oro. Gli stadi tornerebbero a riempirsi, gli abbonamenti televisivi a proliferare. Chi esce ai quarti affronterebbe altre partite per accedere all’Europa League e le squadre dal nono posto in giù combatterebbero per non retrocedere.
“L’intera penisola sarebbe attraversata per un mese da duelli ad alto tasso emotivo, in grado di competere nella guerra mondiale dell’audience persino con il campionato inglese, l’unico a non avere bisogno dei playoff perché riesce a essere incerto e spettacolare già così”.
Gramellini si dedica a smontare una per una le critiche ai playoff e a proporre correttivi.
Servirebbe una moviola in campo più incisiva, magari dando anche agli allenatori la possibilità di chiedere di consultare il Var, come accade in altri sport. Si dovrebbe contrastare la componente malavitosa della tifoseria
“che ha trasformato le curve degli stadi in centri di spaccio della droga”.
Per non far sovrapporre i playoff alla fase delle coppe europee, intasando gli impegni tv e complicando le scelte degli allenatori sulle formazioni da mettere in campo, si potrebbe giocarli ad aprile, concentrando a maggio i turni decisivi delle manifestazioni continentali, o fare il contrario.
“Bisogna trovare un accordo con l’Europa, ma perché non provarci? Il virus salvifico dei playoff potrebbe contagiare spagnoli francesi tedeschi e olandesi, i cui campionati non stanno messi molto meglio del nostro”.
I playoff sono l’ultima occasione esistente, scrive, per non ridurre il calcio a un affare per soli ricchi o a una “lagna per tutti” come la Formula Uno.
“Vale per il pallone ciò che Indro Montanelli diceva a proposito del giornalismo: l’unico peccato mortale consiste nell’annoiare il pubblico”.
FOTO CORRIERE DELLA SERA