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Nel trevigiano una professoressa educa alla gentilezza e ai sentimenti

La sua storia su Repubblica: un mese di lavoro per spezzare l’isolamento da smartphone

Nel trevigiano una professoressa educa alla gentilezza e ai sentimenti
foto Repubblica

Il lavoro dell’insegnante è davvero solo quello di inculcare nozioni ai suoi allievi? Nel trevigiano c’è una professoressa che crede che, accanto al compito ‘istituzionale’ si debba anche educare ai sentimenti.

Lei è Mara Pillon, ha 54 anni e insegna italiano alla scuola media Marco Polo di Silea, nel trevigiano. La sua storia è raccontata, oggi, da Repubblica.

“Li osservo da anni a ricreazione. Ragazzine in gruppo che non si preoccupano se una loro compagna di classe rimane sola. Ragazzi senza merenda costretti a rubarla ad altri con prepotenza, perché a nessuno viene in mente di condividere”.

Così la professoressa ha deciso di insegnare la gentilezza a questi ragazzini che passano sempre più ore con la testa sul cellulare e ha spinto 19 ragazzi tra gli 11 e i 12 anni ad iniziare a guardarsi intorno, osservare le persone, cercare di capirle.

Il punto di partenza è la frase attribuita al teologo Ian Maclaren, scritta a caratteri cubitali sulla lavagna della classe della Pillon: “Ogni persona che incontri sta combattendo una battaglia di cui non sai nulla. Sii gentile, sempre”. È uno dei concetti che sono alla base del libro di R.J. Palacio “Wonder”, da cui inizia il percorso formativo della professoressa.

L’insegnamento della nuova disciplina parte con un diario su cui gli studenti sono chiamati ad annotare le buone azioni che fanno e quelle che ricevono.

“Il “no” indolente che scatta quando un genitore chiede di preparare la tavola per la cena si è trasformato in un “sì”, oggi magari pronunciato a denti stretti solo per compilare la lista ma domani chissà”.

I ragazzi hanno ricominciato a salutare con il buongiorno il barista a cui ordinano la colazione, alla cassa del supermercato hanno lasciato il posto ad un anziano, hanno sorriso al bigliettaio della stazione. Hanno recuperato una normalità persa tra le emoticon degli smartphone.

“I miei ragazzi si sono resi conto che le gentilezze ricevute sono tante ma spesso vengono date per scontate”

Accanto ai piccoli grandi gesti, lo studio delle quartine di Dante in “Tanto gentile e tanto onesta pare”, l’analisi di articoli di giornale, e tanto altro. In un mese, le sei ore la settimana di italiano sono state utilizzate solo per imparare la gentilezza.

Una piccola goccia lanciata nell’oceano degli adolescenti, quella della Pillon.

“Adesso questi 19 studenti sono i messaggeri della gentilezza. Sono chiamati a mettere in pratica ciò che hanno studiato, saranno loro all’interno dell’istituto a consigliare gli altri di fare altrettanto. Spero che il progetto sia esteso anche ad altre classi”.

Un atto rivoluzionario, lo definisce la pedagogista Mariagrazia Contini, intervistata da Repubblica sul tema:

“I ragazzi stanno rischiando di non imparare nulla sull’empatia perché sono molto chiusi nel rapporto virtuale col telefonino. Restituire loro il volto e la presenza fisica dell’altro significa aiutarli a costruire relazioni basate sul rispetto. L’altro così si sente visto, riconosciuto. Quello di cui tutti abbiamo bisogno e che è necessario per far crescere e diffondere uno stile di socialità capace di mettere in discussione quello attuale”.

FOTO DA REPUBBLICA

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