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Napoli-Frosinone, scoperta ed eclissi di Massimo Palanca

Calcio in soffitta – Prima di diventare un simbolo del Catanzaro, Palanca è stato capocannoniere della squadra ciociara in un campionato di Serie C.

Napoli-Frosinone, scoperta ed eclissi di Massimo Palanca

Palanca a Frosinone

“Mio fratello è figlio unico perché è convinto che Chinaglia non può passare al Frosinone” stornellava così Rino Gaetano nel 1976. Quella canzone, un’ode all’onestà intellettuale e all’indipendenza, portò nelle case degli italiani la squadra gialloblu associandola ad un mito della ‘lazialità’ e dell’essere ‘ciociari’ come Giorgio “Long John” Chinaglia. Tanto di cappello alla poesia pura del cantautore calabrese, al suo essere avanti coi tempi e alla sua lungimiranza ma molti di noi scoprirono il Frosinone dopo aver ascoltato quella canzone.

Tra l’altro un pezzo che calza a pennello nel periodo che prenderemo in esame, la metà dei ribollenti anni ’70, piombo e pistole, scontri e occupazioni, droga e contrabbando, cortei e scioperi, lotta armata e bande criminali. L’Italia andava incontro ad un cambiamento epocale e il cantante crotonese fu uno dei più arguti artisti atti a cogliere quel mutamento di pelle di una società che, da allora in avanti, non sarebbe stata più la stessa.

Un paio di anni prima della pubblicazione di quella canzone, il Frosinone stava disputando il suo ultimo campionato di Serie C, prima della retrocessione avvenuta nel 1975, e un ragazzino di 20 anni iniziò a bombardare le reti avversarie con una precisione spaventosa. L’esile figura, nonostante sia alto solo un soldo di cacio (1,69 cm. per la precisione), pesi quanto un brufoloso liceale (63 kg. circa), abbia un piedino che calza scarpe numero 37, porti i capelli lunghi, parli con una forte cadenza marchigiana ed abbia il viso spaurito di chi viene dalla provincia, sa il fatto suo. Quel ragazzo era Massimo Palanca.

Il giocatore, classe 1953, fu il capocannoniere del Frosinone con 17 reti in 28 partite infiammando il vecchio stadio ‘Matusa’ dove nelle partite di cartello si raggiungevano a malapena i 5000 spettatori.

Recanatese, come Leopardi

Il suo destino si incrocia con quello di Leopardi, anche lui viene da Recanati sebbene, anagraficamente, risulta essere nato a Loreto (ma solo perché nel paese del Sommo Poeta non c’era l’ospedale). La differenza tra l’infanzia del futuro calciatore e quella di Leopardi non può, però, essere messa a confronto poiché Massimo è un ragazzo discolo e ne combina di tutti i colori. Arriva perfino a rubare la frutta per portarla a casa dove i genitori hanno un compito davvero arduo, crescere otto figli. Immaginiamo, divagando ancora in questo ‘percorso romantico’, che il poeta romantico dei “Canti” non avesse tanta voglia di andare a cacciarsi nei guai, preso com’era a sgobbare sulle sue composizioni.

Come, allora, può nascere un giocatore del genere in un paese dove a malapena c’è una piazzetta e una chiesa? Mistero risolto. Il papà di Massimo è il custode del piccolo campo di Recanati ed il figlio lo segue ogni volta che può. Il padre traccia le linee, cura il rettangolo di gioco e lo innaffia mentre lui inizia a palleggiare e a provare calci di punizione e tiri dal calcio d’angolo con un sinistro che già promette. Tutti quegli allenamenti solitari gli serviranno, poi, per arrivare alla precisione che tutti gli riconosceranno quando diventerà l’idolo di Catanzaro, “O ‘Rey”, per i tifosi giallorossi.  Quindi, pazzo per il calcio, si arruola nelle giovanili della Recanatese dove rimane fino a 17 anni a scrutare…. l’infinito.

Catanzaro

Nel biennio in cui gioca a Camerino, la sua prima squadra seria, fa sfracelli e gol a grappoli. Da qui passa al Frosinone e diventa una delle punte più prolifiche della Serie C, uno con la fame e la voglia di arrivare. Sembra il classico bomber di provincia che aspira a salire di categoria, che tiene lontano il pensiero della massima serie ma in realtà Massimo ha grandi ambizioni. Infatti, come vedremo, arriverà in massima serie col Catanzaro prima di fermarsi a Napoli in due periodi diversi.

In Calabria, nelle fila della squadra giallorossa, milita per sette stagioni mettendo insieme 205 presenze con 70 reti, i suoi gol sono determinanti per due promozioni nella massima serie (nel 1977-78 segna 18 reti ed è capocannoniere cadetto). Sempre col Catanzaro si specializza nei calci piazzati e prima dell’arrivo dei vari Zico, Platini, Maradona e Junior, dopo le ‘foglie morte’ di Mariolino Corso, è proprio lui il terrore dei portieri. Inventa gol impensati e in più di un’occasione va a segno addirittura dalla bandierina del calcio d’angolo. Viste queste premesse il bomber, che a tratti appare anche sgraziato per come corre, diventa appetito da diverse squadre di A. Nel suo curriculum c’è anche una presenza in Nazionale B contro la Germania Ovest a Genova il 19 dicembre 1979.

Palanca con la maglia del Catanzaro

Con il calciomercato del 1981 Palanca è ceduto al Napoli dove viene accolto con entusiasmo. La società, per averlo, paga 1 miliardo e seicento milioni di vecchie lire al Catanzaro più il difensore Cascione, una cifra davvero notevole per l’epoca. Ci sono da sostituire i partenti Capone e Speggiorin e di trovare finalmente un degno partner d’attacco a Pellegrini e Damiani. Il giocatore, col suo baffone in stile russo, è sulle prime pagine dei maggiori quotidiani partenopei perché la sua esile figura incuriosisce e ai giornalisti viene dato pane per scrivere curiosità in più di un’occasione. Una volta al bomber dal piede malefico fu dedicato addirittura un articolo sulle sue…. scarpette.

Si raccontò che una delle due scarpe personalizzate, che gli confezionava su misura un artigiano di Ascoli Piceno, aveva un tacchetto in più. L’accorgimento gli consentiva di imprimere al pallone effetti altrimenti impossibili da dare. In realtà Palanca aveva anche un metatarso sinistro molto fragile che gli aveva dato non poche noie in passato. Dirà: «Curo le mie scarpette con attenzione, ne ho sette paia, sono i miei violini, perciò le tratto con delicatezza».

Palanca a Napoli, stagione 1981/82

Tutte le aspettative dei tifosi napoletani muoiono, però, nel triste rendimento ed ‘andamento lento’ del bomber tascabile. Quasi due miliardi di valutazione, due anni, due reti, una delusione pazzesca. Una coppia di belle pepite ma bottino davvero misero. La prima rete arriva alla sesta giornata di campionato. E’ il 25 ottobre del 1981, Il Napoli di Marchesi va in Romagna, i bianconeri del Cesena, capitanati da Schachner e dall’ex Filippi, capitolano.

Palanca apre le marcature con una punizione di sinistro e poi, al colmo della sfortuna, un quarto d’ora dopo, fa anche autorete e pareggia per i romagnoli. Meno male che Musella e Damiani segnano e riportano la gara su binari giusti per il 3 a 1 finale. In quel campionato il piccolo attaccante colleziona anche 6 presenze in Coppa Italia e 2 nel primo turno di Coppa Uefa contro il Radnicki Nils (azzurri eliminati dopo due pareggi, uno ‘pesante’ in casa).

Como, Napoli e (di nuovo) Catanzaro

Dopo la prima sfortunata stagione in azzurro Palanca viene dato in prestito al Como dove ha un’altra annata tra alti e bassi. Così il Napoli lo riprende e punta altre fiches su di lui, la società intende difendere un patrimonio costato una cifra blu (tra soldi spesi e la contropartita di Cascione si arriva quasi a due miliardi di lire).

L’altro gol “miliardario” lo segna nell’incontro di esordio del campionato 83-84. E’ l’11 settembre e la Fiorentina seppellisce il Napoli sotto una valanga di gol, uno più bello dell’altro. Segnano Oriali, Iachini, Monelli fa il fenomeno con una tripletta e, in un’occasione, fa perfino un tunnel a Rudy Krol. Sul 4 a 0 per i viola arriva la girata di sinistro, nell’angolino dove il portiere Galli non può arrivare, di Massimo Palanca per la rete della bandiera napoletana.

Stagione 1983/84

Dopo quest’altra fallimentare esperienza sulle rive del Golfo arriva un declassamento inatteso. Il giocatore viene ceduto in C2 al Foligno dove in un biennio ritrova la via del gol con continuità. Tutti, però, si chiedevano: è mai possibile che un giocatore del genere, che ha fatto disperare i portieri di mezza serie A con i suoi tiri maligni e ad effetto, adesso sia in quarta categoria a soli 31 anni? Sì, purtroppo.

Certi amori evidentemente, però, non finiscono, è il caso di dirlo. Dove poteva rigenerarsi il nostro attaccante in miniatura? Ovviamente al Catanzaro che lo riprende e lo fa giocare per altri quattro anni in cui mette a segno ancora 45 reti in 126 partite. In tal modo porta il suo bottino, con la maglia giallorossa, a 115 reti in 330 partite totali. Se non è un idolo lui, allora spiegateci chi può esserl. Prima dell’arrivo a Napoli, dopo l’addio al Napoli, ventimila tifosi pazzi di gioia cantavano sempre, con un coro molto ritmato, “Massimè, Massimé”. E lui si esaltava.

La verità di un fallimento annunciato sta, però, tutta in questa dichiarazione che non arriva a fine avventura ma appena viene acquistato dal Napoli : «No, non subirò contraccolpi, non vi saranno traumi nel passaggio dal Catanzaro al Napoli. Temo, però, la metropoli, la grande città è una specie di giungla. Potrei anche soffrirla, come no. Spero di superare in fretta il disagio». Invece il nostro attaccante, comprato per spezzare le reni alle difese avversarie, rimase traumatizzato da questo brusco cambiamento dalla provincia alla città. E non supererà mai il disagio di una giungla chiamata Napoli.

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