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Torino-Napoli amarcord: Silenzi e Venturin, cuori granata di passaggio in azzurro

Calcio in Soffitta / Dalla Torino granata fino a Napoli: nei primi anni 90 è una tratta su cui viaggiano molti calciatori.

Torino-Napoli amarcord: Silenzi e Venturin, cuori granata di passaggio in azzurro

La partita degli ex

Succursali di scuole, filiali di banche, agenzie provinciali, sedi distaccate dell’ufficio, termini sentiti e risentiti. Quello che non avevamo ancora udito e coniato era la ‘succursale calcistica’, ovvero le squadre piene di ex. Fu questo il leitmotiv della sfida del campionato 1993-94 tra Torino e Napoli all’ormai defunto Stadio delle Alpi, abbattuto per far spazio all’Allianz della Juve. Mondonico, l’allora tecnico del Toro, schierò ben tre giocatori che avevano indossato la maglia azzurra. Il 23 gennaio del 1994 le fila degli ex napoletani si ingrossa fino a diventare un terzo della squadra torinista. Se non un record, poco ci manca.

Partiamo, questa volta, dalla fine. L’undici, l’ala tattica, il motorino del centrocampo, il collante con l’attacco si chiama Giorgio Venturin. Una stagione nel Napoli di Maradona, 1990-91, lo scudetto in bella mostra sulla ‘camiseta’ nelle lotte a metà campo. Il nove è Andrea Silenzi, lo spilungone romano che era stato partner di Careca e Padovano, un’ira di Dio con la Reggiana, un flop al Napoli (in due anni, 90-92, solo 6 reti all’attivo).

Il sei è Luca Fusi, con i partenopei nel biennio 1988-90, uno dei mediani più rimpianti della storia azzurra. Questo racconta il tabellino di quella fredda giornata d’inverno ma il cerchio non si è ancora chiuso. Il portiere titolare Giovanni Galli, tre buone stagioni dopo il ciclo di Giuliani sotto il Vesuvio, ceduto l’anno prima al Torino, è indisponibile e si guarda la partita dalla tribuna (al suo posto Pastine). Sarebbe stato il quarto ex della partita.

I futuri ex

Un rapido sguardo al futuro, un andare in avanti col tempo, ci dice anche che quel giorno in campo, col numero quattro, c’è Raffaele Sergio (che passerà al Napoli quattro anni più tardi), col dieci Benito detto ‘Benny’ Carbone (giocherà con gli azzurri l’anno dopo) e in panchina c’è “l’uomo della sedia” ovvero Emiliano Mondonico, tecnico degli azzurri nel 2000-01. Sul terreno di gioco, a guardia di Buso, col cinque, c’è Angelo Gregucci, l’allenatore scelto da Gaucci quando a Napoli regnava il caos. Quello vero, quello del 2004. Quello delle tristi pagine fallimentari, quello del fitto di ramo d’azienda e dei tribunali.

La partita finisce in pareggio, uno a uno, un pallido sole fa capolino ogni tanto sul terreno di gioco, una cattedrale nel deserto, uno degli scempi seguiti a “Italia 90”. La gara è veramente bella, con continui capovolgimenti di fronte, le squadre giocano a viso aperto senza risparmiarsi e le occasioni fioccano da una parte e dall’altra. Dopo un primo tempo a reti inviolate il pallino, nella seconda frazione di gioco, passa ai giocatori più tecnici delle due compagini.

A Carbone, che segna con una bella giravolta, risponde un Fonseca in stato di grazia. L’attaccante uruguaiano ci prova a ripetizione ma Pastine non si lascia mai sorprendere fino a quando l’arbitro Rosica non assegna un penalty al Napoli. Dal dischetto un implacabile Daniel ‘dente di coniglio’ Fonseca, a segno per la terza partita consecutiva, spiazza il sostituto di Galli e porta la squadra ad un più che giusto pareggio. Sarebbe stato davvero troppo se la traversa colpita da Silenzi fosse finita in rete.

Abbozzare il post-Maradona

Venturin e Silenzi, giovani di belle speranze, giovani su cui il Napoli investì ‘tecnicamente’ per mantenere la squadra nell’Olimpo delle grandi del campionato quando Ferlaino intuì che il grande ciclo stava per terminare. Il loro arrivo fece, dunque, da ponte tra gli ultimi bagliori di Diego e il difficile compito di ricostruzione del dopo Maradona.

Giorgio Venturin, lombardo di Bollate, arrivò nell’estate del 1990 in prestito secco, un giovanotto cresciuto nella ‘cantera’ del Torino, uno di quelli a cui si inculca il mito del Filadelfia e della squadra degli Invincibili periti a Superga. Insomma, il Toro tatuato sulla pelle. Un destino che non lo abbandonò mai perché tornò in granata anche a 32 anni dopo la quasi fallimentare stagione all’Atletico Madrid finita con la retrocessione. Per lui anche una presenza in Nazionale nel 1992, gara di U.S. Cup tra Irlanda ed Italia a Boston.

Clamoroso fu il suo passaggio alla Lazio, voluto a tutti i costi da Zeman, per 5 miliardi di lire. Nel Napoli, dove si alternò col 7 e con l’8, era stato preso per fare la riserva di lusso del centrocampo. Invece giocò tutto il campionato collezionando 31 presenze, senza mai mettere a segno una rete, e si mise in luce come prezioso jolly, talvolta impiegato anche da ‘finto’ libero da Bigon. Finì la carriera nella Lodigiani a 37 anni.

Chi nella Lodigiani la carriera l’aveva iniziata a 18 anni era Andrea Silenzi, un passaggio all’Arezzo e poi l’esplosione definitiva nella Reggiana, due squadre, guarda caso, con la maglia granata. Dopo aver segnato la media di una rete ogni due partite, 33 in 67 presenze, aver vinto il titolo di capocannoniere della Serie B, l’attaccante dalla lunga chioma passa al Napoli. L’esordio è di quelli col botto.

Supercoppa Italiana, primo settembre 1990. Il Napoli maciulla e passa al setaccio la Juventus di Maifredi al San Paolo e Silenzi segna una doppietta. Nelle movenze ricorda vagamente Braglia anche se fisicamente è più potente, muscoloso e i tifosi sperano che la metta dentro più spesso dell’ex ‘Giorgio Guitar’. Fuochi d’estate, fuocherelli di autunno e cenere di inverno, finisce così la parabola del buon Silenzi al Napoli, solo 6 reti in due anni prima che la società lo sbologni al Torino. Non conosciamo le cifre ufficiali della cessione ma sappiamo quanto era stato pagato. Sette miliardi il prezzo del suo cartellino, probabilmente la Reggiana ci costruì una intera squadra. Lo sfortunato lungagnone ha un record al suo attivo, è stato il primo giocatore italiano a giocare in Premier League. Passò, infatti, al Nottingham Forest nel 1995-96 dove totalizzò 12 presenze mettendo a segno solo due reti nelle Coppe.

Anche per lui il destino disse ancora Torino. Infatti, ormai agli sgoccioli della carriera, ritornò in granata nel 2000, un anno prima del suo addio definitivo al calcio nel Ravenna. Un’altra analogia con Venturin fu la sola presenza con la Nazionale A. Amichevole a Napoli, Francia batte Italia 1 a 0.

Entrambi non hanno avuto più la luce dei riflettori addosso dopo aver smesso col football ma un destino li ha accomunati nel calcio di ‘provincia’. Nel 2008 si sono ritrovati, infatti, dirigenti della Cisco Roma, la squadra che rilevò il titolo della Lodigiani. Lì, nella capitale, il cerchio sembrò chiudersi definitivamente. Dopo tanto granata, il colore della loro vita.

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