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Mariafelicia Carraturo, record mondiale in apnea a 48 anni: «Siamo schiacciati dalle convenzioni sociali»

Racconta al Napolista come le è nata la passione e come l’ha sviluppata dopo la separazione. «Ho due figli, sono molto severa con loro. È il cambiamento la chiave della vita»

Mariafelicia Carraturo, record mondiale in apnea a 48 anni: «Siamo schiacciati dalle convenzioni sociali»

Impegno, determinazione, disciplina. E coraggio, tanto. Per mettersi e rimettersi in gioco, per superare e superarsi. Soprattutto, coraggio di cambiare. Perché «il cambiamento fa paura, all’inizio destabilizza, ma è l’unico modo che abbiamo per realizzare noi stessi, la nostra vera natura».

Parola di Mariafelicia Carraturo, napoletana doc, di “nobili” origini dolciarie (i suoi familiari sono i re della sfogliatella e non solo), campionessa mondiale di apnea in assetto variabile.

Lo scorso 25 agosto Mariafelicia ha stabilito il nuovo record del mondo CMAS di apnea in assetto variabile con la monopinna. Ha conquistato le acque di Sharm el-Sheikh in Egitto, raggiungendo i 115 metri di profondità in 3 minuti e 4 secondi, superando così il precedente primato di 112 metri detenuto dalla turca Derya Can.

Un record nel record: la Carraturo ha 48 anni ed è la donna meno giovane ad aver ottenuto un risultato del genere.

È rientrata in Italia da qualche giorno e le tocca ora partecipare agli eventi in suo onore, meritatissimi, nei luoghi dove si allena a Napoli. Ieri al Parco Virgiliano, poi sarà la volta della Lega Navale di Pozzuoli (la sua società), e del Circolo Nautico Posillipo (dove è atleta ospite).

Una donna non comune. Dolce, ironica, tenace. Con una forza che mette continuamente alla prova e un livello di consapevolezza profondo, come gli abissi marini che raggiunge. Mamma di due adolescenti, si definisce un genitore molto severo. Ama lo sport, ma non il calcio e ci spiega perché.

Quando e come inizia la tua avventura?

«È iniziata 12 anni fa per gioco. In realtà facevo nuoto in una squadra amatoriale. Mio fratello Alessandro, che è un pescatore subacqueo autodidatta, voleva fare un corso per imparare ad immergersi in sicurezza e mi chiese di farlo insieme a lui. Così accettai».

Quando hai capito che il gioco si faceva serio?

«Già durante il corso ero risultata la più brava, ma non avrei mai pensato di continuare. Avevo i bambini piccoli, facevo tardi la sera per le lezioni e in più il corso si svolgeva lontano da casa.

Quando mi sono separata dal mio ex marito, si è aperta una forbice di tempo che non avevo mai avuto prima. Dovevo trascorrere dei periodi in cui i bambini stavano con il padre, per esempio 15 giorni estivi, in solitudine. E siccome non sono un tipo da vacanze a Formentera o ad Ibiza, né da discoteca, mi dedicai alla mia passione. All’epoca già facevo profondità interessanti e nel 2010, il mio primo anno di singletudine, andai a Rodi in quei famosi 15 giorni senza bambini. Durante gli allenamenti raggiunsi una quota a livello di record italiano. Nel 2011 mi fecero partecipare ai primi mondali di apnea».

Da zero al mondiale?

«Sì, in quell’occasione mi classificai sesta in una disciplina, ottava in un’altra e feci il mio primo record italiano in FIM (Free Immersion) con – 61 metri.

Nel 2012 stabilii un altro record italiano ad Ischia con – 68 in assetto costante e alle Bahamas ho partecipato ad una gara mondiale, in occasione della quale ho raggiunto il record di 79 metri in assetto costante.

Nel 2014 mi resi conto che le discipline per le quali ero più portata erano quelle con la slitta (un meccanismo che porta l’atleta in profondità, ndr). Dopo pochissimi allenamenti feci già il record italiano oltre i 100 metri, ma ebbi un incidente con la slitta e sono stata costretta a rimanere fuori dall’acqua per sei mesi.

Nel 2015, a luglio, raggiunsi nelle acque di Sharm el-Sheikh i 110 metri di profondità no limits (discesa con la slitta e risalita con il pallone di risollevamento, ndr), stabilendo il record italiano che era rimasto imbattuto per 26 anni, e poi ad agosto ho ritoccato il mio record italiano con – 120 mt no limits e ho stabilito il record italiano in assetto variabile (con la monopinna in risalita) con – 105 metri.

Il 2016 è stato per me un anno sabbatico: gli allenamenti sono stressanti e avendo libertà solo in agosto avevo voglia di fare qualcos’altro. Così andai a fare il cammino di Santiago. Ma il caso (che non è mai un caso) mi ha riportato alle immersioni. A settembre incontrai alcuni amici che mi spinsero di nuovo ad allenarmi. Nel 2017 ero già pronta per quest’ultimo record, ma per la mancanza di uno sponsor (è molto costosa l’organizzazione) e per un problema personale ho dovuto rimandare. Ho rifatto l’anno di sacrifici in palestra, sul campo di atletica e in acqua. In allenamento ho raggiunto una quota migliore del record stabilito, anche abbastanza facilmente, magari un domani posso riprovarci e andare più giù».

Che cosa è una sfida per Mariafelicia Carraturo?

«È superare se stessi. Ogni sfida non deve essere mai su un’altra persona, ma sempre un tentativo di superare un proprio limite. Questo vale soprattutto nell’apnea, dove ti devi confrontare con te stesso. Il caso è che i miei limiti coincidessero con limiti da record. Qualcuno mi ha notata e poi…».

Cosa significa superare i propri limiti?

«Mettersi in gioco, continuare a porsi domande. Per me significa dover cambiare qualcosa nel modo in cui mi sono comportata fino a quel momento. Mai ancorarsi a qualcosa che hai già imparato. Mai vincolarsi ad un modo di pensare. Bisogna esporsi al cambiamento: questa è la chiave della vita. Cambiare è difficile, destabilizza. Nel cambiamento c’è un momento in cui pensi addirittura di regredire, finché non acquisisci quel qualcosa di diverso, qualcosa che non c’era prima e allora cominci ad andare avanti e a pensare che ce la puoi fare».

Vale anche per i limiti che ci impongono gli altri? Spesso ci si trova a pensare “questa cosa non è dipesa da me”…

«A volte sono scuse. Se desideri qualcosa col cuore, trovi sempre una strada. I desideri indotti vanno tralasciati, è giusto così, ma quando monta dentro di te la tua vera natura, la tua vera ispirazione, la strada la trovi. È capitato anche a me: sono mamma e anche persone che mi vogliono bene mi dicevano “cosa fai, sei mamma”. Siamo schiacciati dalle convenzioni sociali che ci impediscono di fare le cose con lucidità».

Tu che mamma sei?

«Molto severa, un’amica dice che se i miei figli frequentassero la Nunziatella, andrebbero in vacanza. È ovvio che è più facile dire sì che no. Spesso i genitori diventano lo zimbello dei figli, ma si raccoglie ciò che si semina. Ho due ragazzi adolescenti e dall’asilo ad oggi ho fatto amicizia con due mamme soltanto. I genitori sono infrequentabili.

Sono molto orgogliosa dei miei figli. Sono educati, studiano e fanno sport. Lo sport è importantissimo. È grazie allo sport che imparano a confrontarsi con gli altri, a rispettare l’allenatore, hanno una disciplina e soprattutto imparano a perdere. Per quanto mi riguarda, ho imparato più dai miei errori che dai miei successi».

Eppure sembra che oggi i ragazzi siano un affare ingestibile, degli esseri imperscrutabili, da non contraddire troppo…

«Ora si tende a proteggere i ragazzi, perché non abbiano noie, sconfitte e questo impedisce loro di crescere. Anche in tal senso lo sport è la salvezza. Lo sport è un grande livellatore sociale, ti insegna ad avere a che fare con chiunque senza preclusioni di sesso, colore o provenienza. Facendo sport si impara ad apprezzare il lavoro di gruppo e si è grati agli altri per l’aiuto ricevuto nel realizzare un obiettivo comune. Fa perdere quell’individualismo sfrenato che c’è oggi».

Sei tifosa del Napoli?

«Il calcio mi piace come gioco, ma non come mondo: non è più uno sport, non ne ha più le caratteristiche e non è per niente educativo, perciò è da un po’ che non me ne interesso più».

Mamma e donna da record, che consiglio daresti ai più giovani?

«Di non seguire le strade segnate dai genitori e dai parenti. A volte ci si laurea perché il papa è avvocato. Nei momenti di silenzio viene fuori la propria natura. Seguire la propria natura costa fatica, ma rende felici. Al contrario diventiamo delle amebe, ci ammaliamo».

E come donna ad un’altra donna?

«Che bisogna rispettarsi e seguire le proprie aspirazioni. Sono per la divisione dei ruoli all’interno della famiglia e della società. Parità non significa che la donna debba somigliare all’uomo, ma che la donna debba affermarsi come individuo, non accettare le prevaricazioni e anche all’interno della coppia avere pari dignità. Non bisogna accettare le mancanze di rispetto, anche verbali».

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