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Dalla parte di Messi il fuoriclasse che ha la “colpa” di non essere un leader politico

Il suo rapporto con l’Argentina è tutto nel suo esordio: espulso dopo un minuto. Una maglia maledetta. Un fuoriclasse schiacciato dai paragoni e incapace di reagire

Dalla parte di Messi il fuoriclasse che ha la “colpa” di non essere un leader politico

L’unica espulsione della sua vita

Odierà quella camiseta. Quando arriva il momento di indossarla, sa che sono prossimi i tempi bui. Critiche, insulti, paragoni schiaccianti, mortificazioni. È così praticamente da sempre. Un rapporto maledetto sin dal primo minuto. Dall’esordio. Il 17 agosto del 2005, a diciotto anni appena compiuti. In amichevole contro l’Ungheria. La partita di Messi durò sessanta secondi. Entrato al 64esimo al posto di Lisandro Lopez, venne espulso un minuto dopo per una gomitata sferrata al difensore Vanczak. L’unica espulsione della carriera di Lionel Messi. Non c’è bisogno di scomodare la psicoanalisi, è tutto sin troppo evidente. Già dalla telecronaca argentina: appena Messi entra in campo, i commentatori nominano più volte Maradona e ricordano che anche Diego esordì contro l’Ungheria.

Un rapporto sempre controverso

Quei sessanta secondi sono un perfetto condensato di quel che sarà il rapporto tra Messi e quella Nazionale che in fondo non è mai stata sua. Messi non ha mai giocato in Argentina, a meno che non consideriamo parte della carriera le sue partite fino a dodici anni. È sempre stato al Barcellona, dall’età di 13 anni. È catalano. Con la Nazionale ha anche vinto, non in quella vera e propria: alle Olimpiadi e ai Mondiali Under 20. Con l’Albiceleste degli adulti ha perso tutto e in malo modo. Quattro finali su quattro. Due ai rigori contro il Cile. Una contro il Brasile, sempre in Coppa America. Una al Mondiale 2014, contro la Germania.

E sempre, a schiacciarlo, quella figura ingombrante. Maradona. Che nel 2010 lo allenò e provò a disegnargli una squadra su misura, affiancandogli il giovane Gonzalo Higuain. Non servì a nulla. L’Argentina di Maradona e Messi venne spazzata via dalla Germania di quel Mueller che qualche mese prima Diego aveva snobbato in conferenza stampa. La stessa Germani che quattro anni dopo lo sconfisse in finale.

Lui gioca a calcio, e basta

Messi non è Maradona. Non può esserlo. È assurdo chiedere a un magnifico calciatore di essere un leader politico. Lui sa giocare a calcio. E sa farlo in modo sublime. Altro, in teoria, non sarebbe richiesto a un calciatore che ha vinto cinque Palloni d’oro e ha un albo d’oro e una serie di record da riempire libri. Un atleta che ha fatto la storia del calcio. Che con la maglia del Barcellona ha regalato poesia e versi impensabili. Giocate estratte dai libri di geometria e che hanno messo in crisi teorie della fisica. Non dobbiamo stare qui a ricordare chi è Lionel Messi.

La sua responsabilità, se di responsabilità si può parlare, è un’altra. Non sa caricarsi un Paese sulle spalle. Non sa trasformare una partita di calcio in una vendetta storica contro i nemici dell’Inghilterra. Messi sembra persino non averne di nemici. Lui gioca a calcio. Abbassa la testa quando gli avversari segnano. Non impreca. Non un cenno di reazione sul suo volto. China il capo e sente arrivare la tempesta mediatica che, puntuale, lo travolge ogni qual volta è costretto a indossare quella maglia. È stata impietosa la regia dei Mondiali. A ogni gol della Croazia, inquadrava lui Lionel. Sguardo basso, senza dire una parola. Consapevole. Rassegnato al ruolo che sa di dover interpretare.

Lo stanno demolendo

Viene da simpatizzare per lui. A noi che non simpatizziamo affatto per questa Argentina. Viene da ricordargli che il Mondiale suo e dell’Albiceleste non è finito. Anche se tutto procede in una direzione. Con Cristiano Ronaldo che segna e lo deride, e il suo Portogallo già qualificato. Con Messi e gli argentini a un passo dal baratro, costretti a sperare che l’Islanda non batta la Nigeria. Eppure ne abbiamo visti di Mondiali ribaltati da un giorno all’altro. Ne sappiamo qualcosa noi italiani che ancora raccontiamo quel che accadde a Vigo nel 1982. Ma anche la Francia nel 2006 sembrava sull’orlo di una crisi di nervi e finì per eliminare Spagna, Brasile, Portogallo prima di suicidarsi con una testata.

Viene da augurarselo per Messi. Pur senza averlo mai amato. Perché è dura amare un atleta che sembra muoversi sempre al di fuori del recinto agonistico. Ma vederlo così, inerme (come un coniglio bagnato direbbe l’Avvocato), mentre si divertono a demolirlo, fa venire voglia di incoraggiarlo. Lionel, fagliela vedere. Anche se sappiamo benissimo che, anche in caso di rivincita sul campo, non avresti alcun gesto liberatorio. Solo, sorrideresti. Seppure di un sorriso amaro. Senza enfasi. Tu giochi a calcio. Non hai nemici.

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