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Il gol di Diawara ha nascosto i problemi del Napoli

Abbiamo goduto tutti, ma non possiamo dimenticare che sono bastati Chievo e Sassuolo per metterci in difficoltà

Il gol di Diawara ha nascosto i problemi del Napoli

Il sogno e la paura

“Continua il sogno scudetto!”, il titolo è perfetto.

Cos’è la nostra vita se non un continuo passaggio da un sogno all’altro, grandi o piccoli sono la spinta di tutto, la vera ragione che ci spinge ad abbozzare il prossimo passo nell’attesa di una realizzazione.

Esistiamo sempre e solo nell’idea e nella misura di trattare e considerare l’impossibile come possibile, ottenendo spesso il secondo, meno spesso il primo per la sola paura di fallire.

La paura che segna il Napoli delle ultime uscite, che ha una radice profonda.

Quella che, ahimè, in tanti fanno fatica a cogliere.

Al gol di Diawara, splendido peraltro, gran parte del popolo azzurro ha inneggiato al limone, agrume ghiacciato e senza zucchero servito come dessert all’Italia tutta, a partire da Ilaria D’Amico.

Il popolo del web si è scagliato contro i contestatori, fino all’ottantanovesimo capipopolo, e ironizzato sulle bottiglie di spumante che in quel di Vinovo non hanno visto la luce del sole.

Vincere, all’improvviso, anche per gli esteti più convinti, è diventato più importante di tutto: della bellezza, del ritmo, della lucidità.

La verità è probabilmente un’altra.

Di che ti lamenti?

Premettendo che nel bel mezzo di una discussione circa la vittoria risulterei un bonipertiano convinto, ritengo, allo stesso tempo, che risolvere quest’ultima (la vittoria) unicamente nel festeggiamento sia da sprovveduti e disgraziati. Non a caso il duca di Wellington, Arthur Wellesley, soleva spesso ritenersi sciagurato e iettato dopo una battaglia vinta più che dopo una disfatta.

La sconfitta spiega, restituendoci sempre una visione più precisa di noi stessi, l’altra no, nasconde.

Perdere costringe a guardarsi allo specchio, guardarsi allo specchio dopo un vittoria è esercizio poco comune, farlo sarebbe, ed è, un segno di vera maturità.

Abbiamo preso tre punti al Chievo, gioito da infarto per la rete sul gong, tenuto la Juve a meno quattro, mancano sette partite alla fine del campionato, loro hanno Inter e Roma nel calendario, c’è lo scontro diretto da giocare, “ma di che ti lamenti?” potreste dirmi.

Il disagio è percepibile

Il fatto è, almeno per me, che il disagio degli azzurri è percepibile, netto. Coinvolge l’ambiente intero.

Di colpo, tutte insieme, sono svanite tante caratteristiche trainanti d’inizio stagione: la positiva presunzione, la straripanza fisica, l’incisività.

Non è un caso che avversari infinitamente minori, cosi come lo sono Sassuolo e Chievo, ci rechino difficoltà enormi.

C’è un comune denominatore.

Le ultime settimane di campionato ci stanno restituendo un Napoli diverso, diverso non per una caduta degli integralismi (non sia mai!) del tecnico, bensì diverso principalmente proprio per:

– il peso del dogma, per la stanchezza che ne deriva nel osservarlo, il logorio mentale più che fisico

  • l’esiguità tecnica (non mi sentirete mai chiamarla sfortuna). Esiguità che, di questo va dato merito a Sarri, non ci pone al momento nel posto cui ci spetterebbe per i valori reali.

Un gruppo esausto

Ciò che resta è un gruppo esausto, esausto di continuare a inseguire la Juve, sfatto dalla paura di non farcela per l’incapacità momentanea di seguire l’unica strada conosciuta per arrivare alla vittoria, debilitato e costretto dalla tattica e dalla mentalità su cui questa si fonda.

Se stessi scrivendo questo pezzo dopo una sconfitta mi si potrebbe rimproverare di scendere dal carro appena intuita la destinazione, fortunatamente non è cosi.

La via per lo scudetto, per il sogno, è ancora ampiamente praticabile, percorrerla fino all’ultima fermata non è un’utopia.

Ma ci sono dei problemi e non possiamo nasconderli sotto il tappeto dei tre punti.

Parafrasando Coelho è bene dire che se rimandi il raccolto i frutti marciscono, ma se rimandi i problemi continuano a crescere.

Per fare l’impossibile bisogna essere trasgressivi, come lo siamo stati al 93esimo.

Spero che il nostro mantra di fine campionato possa essere l’oltraggio alla subordinazione, al buonismo, all’angoscia, ai principi.

P.S. Che poi abbiamo goduto, è fuori dubbio, ma chi si accontenta gode solo a metà.

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