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Insigne su The Players’ Tribune: «Fiero di essere napoletano, il mio sogno è lo scudetto»

Una piccola autobiografia firmata da Lorenzo Insigne: «Da piccolo volevo le scarpe di Ronaldo, ma il mio cuore è sempre stato colorato di azzurro».

Insigne su The Players’ Tribune: «Fiero di essere napoletano, il mio sogno è lo scudetto»

Un’incursione su un sito di riferimento

The Players’ Tribune è un vero e proprio fenomeno editoriale. Lo schema è semplice. Parlano i calciatori, i giocatori di basket, di tennis, di baseball. Scrivono in prima persona, magari non scrivono e si fanno scrivere. Ma i concetti sono loro, appartengono palesemente a loro, e allora ne vengono fuori ritratti sinceri. Oggi è stato il turno di Lorenzo Insigne. Che inizia così il suo testo: «Prima di cominciare questa storia devo chiedere perdono a Dio. Per Dio, intendo “D10S”…Diego Armando Maradona».

Il motivo di questa richiesta è svelato molto dopo, ed è questo: «L’unico giocatore di cui mio padre voleva sentir parlare era Maradona. Solo che io volevo le scarpe di Ronaldo, le R9. Io sono cresciuto col mito di Diego, sentendo parlare della sua grandezza, e ovviamente lui era una leggenda a livello mondiale. Ma a Napoli? Eh, a Napoli Diego era come un Dio. Mio padre voleva che io prendessi delle semplici scarpe da calcio nere come quelle che indossava Maradona. Avete presente, no? Ma io non lo avevo visto giocare, ero troppo piccolo e gli rispondevo: “No papà, non hai capito. Ronaldo è il migliore”. Mi dispiace papà! Mi dispiace Diego!».

Una famiglia povera

Insigne chiede scusa anche a suo padre, per questo. Ha letteralmente messo in croce il padre per queste famose scarpe da calcio, solo che gli Insigne erano una famiglia dalle origini «molto umili. Frattamaggiore, il piccolo comune nel quale sono cresciuto, era un posto con tanti problemi: in quegli anni non c’era niente, non c’era lavoro e la mia famiglia non aveva tanti soldi per tirare avanti, quindi era praticamente impossibile poter comprare delle scarpe costose. Però una sera mi portò a comprarle, a sorpresa. E io non so spiegarvi l’emozione che sentivo quella sera, mentre camminavo con lui e con mio fratello più grande per cercare quelle scarpe nei negozi di articoli sportivi dell’intera città».

È il racconto di tanti ragazzini di Napoli. Insigne parte dalle R9 per descrivere una parabola comune a tante famiglie della città, con i piccoli innamorati del pallone e del gioco. E del Napoli, in seconda battuta. Queste le parole di Insigne sull’amore per il club partenopeo: «Il mio sogno, da sempre, era giocare con la maglia del Napoli al San Paolo. Non esistevano altri sogni, non praticavo altri sport. Non pensavo a nient’altro al di fuori dal calcio. Ma mentre crescevo e facevo i provini con le giovanili di diverse squadre – Inter, Torino, anche il Napoli – gli osservatori mi dicevano sempre la stessa cosa. “Ci piace, è bravo, ma è bassino”. Beh in verità non lo dicevano a me. Lo dicevano a mio padre e lui poi mi dava la notizia. Ed era sempre lo stesso verdetto ogni volta».

La rassegnazione

È il momento della rassegnazione: «In Italia la gente è molto diretta: tutti mi scartavano per la mia statura. Dopo che il Torino mi ha liquidato così quando avevo 14 anni, diciamo che non avevo più voglia di giocare. Ho detto alla mia famiglia che sarebbe stato tutto inutile. Ero troppo basso. Sulla tecnica, sulla forza e sulla velocità puoi lavorarci sodo, puoi migliorarle. Ma sulla statura? Cosa potevo farci? Mi svegliavo ogni mattina con la speranza di essere cresciuto durante la notte. Ma niente. E allora dissi a mio padre: “Basta, è inutile continuare, io col calcio ho chiuso”».

A questo punto il Napoli torna, Insigne ha quindici anni e il club azzurro lo sceglie. Diventa raccattapalle, sogna di giocare in prima squadra: «Da napoletano fatico a esprimere con le parole la sensazione di essere in quello stadio e di sentire quell’energia. Pensavo: “Cavolo, se un giorno potessi giocare una sola partita qui con la maglia del Napoli morirei felice”».

I primi tempi

Insigne racconta l’esordio a Livorno, la festa a Frattamaggiore per l’esordio in Serie A, i fuochi d’artificio, l’accoglienza e l’orgoglio di una comunità. «Il Napoli – spiega Insigne – è nel nostro cuore, nel nostro Dna, scorre nel nostro sangue. E io devo tutto al club perché mi sono stati vicini nei tempi duri: dopo il mio debutto nel 2010 ho giocato due anni in prestito, in C al Foggia e poi in B al Pescara».

Insigne su Zeman: «Al Foggia il mio allenatore era un vero personaggio: Zdeněk Zeman. Sapevo che era un tecnico che chiedeva tanto ai suoi giocatori in allenamento, che faceva lavorare in modo intenso ma era anche uno molto abile a lavorare con i giovani e aveva lanciato tanti campioni. L’impatto con lui è stato veramente buffo perché sembrava un tipo uscito da un vecchio film: tutte le mattine faceva venire ogni giocatore nel suo ufficio e faceva pesare tutti su una vecchia bilancia di metallo. Però là dentro Zeman fumava come una ciminiera. Aprivi la porta e c’era solo fumo bianco, si riusciva a malapena a respirare. Sembrava di stare a Milano in quella stanza. Quindi un giorno sono entrato e gli ho detto: “Mister, magari potresti smettere di fumare quando entriamo?”. Lui ci ha pensato un attimo. Poi ha dato un’altra tirata e ha detto: “…allora puoi anche uscire”».

Pescara

Pescara è il luogo della rivelazione. Insigne racconta della sua esperienza in Abruzzo, coincidente con la conoscenza di sua moglie Jenny, anche lei della provincia (Frattaminore). Insigne spiega che si è impegnato tanto, durante l’anno di Serie B con Zeman, Immobile e Verratti, per convincere il Napoli a riprenderlo. In modo da giocare in azzurro, ma anche per poter stare vicino a quella che sarebbe diventata la sua compagna di vita.

«Da allora – spiega Insigne – sono sei anni che indosso questa maglia e provo ancora la stessa emozione ogni volta che segno un gol per il Napoli. Significa tanto per me, perché sono fiero di essere di questa città. Sapete, a volte sento alcune persone parlare male e dire cattiverie discriminatorie su Napoli: per me è molto frustrante perché non conoscono la città, le persone buone e quelle meno buone si trovano dappertutto. I miei compagni di altre città o di altre nazioni arrivano a Napoli con un po’ di timore, ma poi sono rimasti qui invece di trasferirsi in club più grandi. Alcuni di loro sono qui da tre o quattro stagioni e non vogliono andarsene, né loro né le loro famiglie».

Lo scudetto

Per Insigne, ora, c’è un solo obiettivo: «Vincere lo scudetto con il Napoli. È stato molto doloroso non qualificarsi al Mondiale con la nazionale e non c’è nulla che posso dire per esprimere tutta la mia delusione. Mi fa ancora arrabbiare, perché avrei voluto vivere un Mondiale da protagonista dopo quello in Brasile in cui ero giovane e avevo giocato poco. Ma devo chiudere quel capitolo e concentrarmi per cercare di vincere il tricolore con il Napoli, il primo della mia vita. Lo voglio fare per la mia città, il mio paese, i miei amici, la mia famiglia e per i miei figli: questa città ha bisogno di vincere».

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