ilNapolista

I giornali e la retorica del gran rifiuto, ma Verdi non è Gigi Riva nè Paolo Rossi

Accostamenti immediati e fuori luogo, sindrome del paragone e richiami alla camorra: il no di Verdi al Napoli ha scatenato i giornali all’interno dei compartimenti classici.

I giornali e la retorica del gran rifiuto, ma Verdi non è Gigi Riva nè Paolo Rossi

Un caposaldo

Sfogli i giornali, e ti rendi conto che la querelle-Verdi ha stuzzicato la sindrome del paragone. O della nostalgia, o dei corsi e ricorsi storici. In pratica, tutti i qutodiani parlano del suo “Gran Rifiuto”, eleggono Verdi a paladino di un certo calcio, addirittura scomodano i grandi “no” dell’epopea del calciomercato.

C’è un po’ di esagerazione, secondo noi. Non è che vogliamo cambiare i connotati alla scelta di Verdi, la sua «decisione personale» è e resta controcorrente, addirittura controculturale rispetto ai topos di quest’era calcistica. Però, come dire: esiste un limite nell’utilizzo esaltato di una certa retorica – ad esempio quella del Corriere della Sera che vediamo nella foto sotto. Verdi ha detto no, è uno dei pochi. Ma non è «un nastro che riavvolge il tempo, in un calcio dove le occasioni è obbligatorio coglierle ed è peccato mortale sciuparle». O meglio, non ancora.

Sì, perché innanzitutto c’è il problema del tempo. Il Corsera scrive che Verdi «rinuncia al Napoli e a un milione di euro in più», ed è vero. Ma per quanto ancora? Il problema, torniamo su, è quello della retorica preventiva: qualora Verdi decidesse di rimanere per sempre a Bologna, senza modificare il suo status calcistico ed economico, allora avrebbe senso scomodare certi termini, e certi termini di paragone. A quel punto, sì, avrebbe rispolverare i concetti di bandiera e attaccamento (quelli che valgono per Hamsik o per Totti o per Pellissier o per Di Natale, ad esempio). Non ora. Non dopo un rifiuto che la stessa Gazzetta dello Sport definisce «non del tutto comprensibile». Soprattutto alla luce delle parole dette ieri dal calciatore, da Fenucci (ad del Bologna), dai procuratori: per giugno si vedrà. Bandiera a scadenza, calciatore dai vecchi valori con contratto a termine. Ecco perché ci pare eccessivo.

Gigi Riva, Paolo Rossi

Il Corriere della Sera scrive anche che Verdi «non è un monumento, come Riva». Meno male, almeno questo. È un paragone che grida vendetta. Per la portata del calciatore, innanzitutto. Ma anche per il contesto storico-culturale. Anche il confronto con Paolo Rossi è fuori fuoco, parliamo di veri e propri totem per il nostro calcio. Proprio il Pallone d’Oro 1982 (!) è stato intervistato dalla Gazzetta, e ha chiarito le differenze tra il suo no del 1979 e quello di Verdi: «Credo abbia avuto timore di non sapere quante gare avrebbe potuto giocare, perché sul fatto che il Napoli sia competitivo non ci sono dubbi. Quando fui contattato da Ferlaino, non ebbi la certezza che potesse allestire una squadra competitiva. E allora l’idea di poter tornare un giorno alla Juventus ebbe il sopravvento».

Simone Verdi ha il tempo per arrivare a certi livelli, anche se noi siamo abbastanza dubbiosi (eufemismo). Sui giornali, tutti i giornali, ci sono però i rimandi a questi grandi rifiuti. Ci sembra prematuro, proprio per una questione di rispetto verso Simone Verdi. Che oggi è definito una specie di eroe, e domani sarà definito «un professionista che ha fatto la scelta più logica per la sua carriera», quando firmerà per un’altra squadra che magari gli offrirà una cifra uguale o superiore a quella scritta sul contratto offertogli dal Napoli.

E la camorra

Tornano in ballo anche altri temi che in queste situazioni rispuntano in automatico. Come fa il Corriere della Sera che mette insieme tutti i (presunti) no al Napoli degli ultimi anni e cerca di individuare una motivazione comune: «Se poi agli stessi calciatori del Napoli e alle loro mogli è capitato in sequenza di essere vittime di scippi, furti e rapine (da Lavezzi a Hamsik, Cavani, Behrami, Aronica) e l’eco sui social è stata dirompente, può apparire verosimile che il binomio Napoli-camorra abbia avuto il suo peso in qualche rifiuto». Proprio il quotidiano di via Solferino qualche anno fa vide chissà quale disegno dietro una banale rapina a Insigne nel centro della città un sabato sera. Come se a Roma (Nainggolan e Dzeko), oppure a Treviglio o Canicattì, non esistesse la criminalità. A Napoli funziona meglio, possiamo dirlo con una punta di ironia.

Repubblica

In questo bailamme, c’è un approccio diverso da parte di Repubblica. Il quotidiano romano, già dal titolo, fa presagire una lettura quantomeno composita della situazione-Verdi: “L’uomo che guardava passare il treno del Napoli Calcolo, sentimento o finanche un complotto: il “no” del bolognese al club del suo ex tecnico”.

Leggiamo qualcosina: «Si pensa all’influenza di lady Verdi, ma anche di un’altra squadra, capace di sabotare nell’ombra una trattativa che sembrava ormai in dirittura di arrivo. Nella fattispecie si tratterebbe dell’Inter, a cui l’attaccante del Bologna si
sarebbe promesso per giugno». Ci sono anche altre ipotesi, diciamo che il buon Simone Verdi non è stato preso e messo su un altare senza approccio critico, o anche solo possibilista, in attesa del tempo che passa e chiarirà davvero le cose. È già un inizio.

ilnapolista © riproduzione riservata