L’ossessione scudetto in una città, Napoli, che ha forti sentimenti anti-italiani. Un paradosso che per fortuna non sembra far breccia nei calciatori e nell’allenatore
La mentalità vincente
Quando si dice la mentalità vincente. Quella che non sembra mai trasparire da quel che si legge qua e là, si ascolta in giro. A fine ottobre una squadra – il Napoli – dovrebbe scegliere. Ossia dovrebbe consapevolmente abbandonare la competizione più importante d’Europa, quella che ti consente di crescere, di imparare, di confrontarti con chi è più bravo di te. Com’è successo al Napoli di Sarri che grazie alla doppia sfida col Real Madrid ha acquisito ulteriore consapevolezza nei propri mezzi. Il solo calcare certi campi ti apre la mente, ti amplia gli orizzonti.
La crescita di una squadra, di una società, di un ambiente, si misura dalla capacità di mantenere alte l’intensità e la concentrazione per più tempo e in più competizioni. Come può essere possibile per un gruppo di professionisti – che lavorano da una vita per una partita come quella di domani sera – tirare il freno a mano quando si gioca contro la squadra che oggi è la più forte d’Europa? Siamo all’abc della cultura sportiva.
L’ossessione scudetto in un terra con forti sentimenti anti-italiani
E va bene, il Napoli è in testa al campionato. È in lotta, oggi è il favorito essendo primo in classifica, per la conquista di questa ossessione chiamata scudetto. L’ossessione del tricolore in una terra che ha sentimenti antinazionali ben più radicati di quanto dicano le urne. Qui nessun partito o movimento politico è riuscito a intercettare questo vento. C’è riuscito soltanto de Magistris nel suo essere rabdomante del consenso.
In nome dello scudetto, non c’è Champions League che tenga. Perché poi, in fondo, questa Champions non ha mai attecchito più di tanto nell’immaginario del tifoso del Napoli. Sì, il grido “d cempionz”, ma poi poco più. L’evento. Con annessa possibilità di successo. Il primo Manchester City, quello di sei anni fa. Il Bayern di Monaco. Il Chelsea. Il Borussia Dortmund vice-campione d’Europa. Il Real Madrid. E basta. Già l’Arsenal non tirò più di tanto. Col Feyenoord gli spettatori sono stati 22mila. Ma non è soltanto una questione di spettatori.
I nostri confini mentali sono quelli nazionali. Oppure è più corretto scrivere sembrano essere quelli nazionali. È all’Italia – che odiamo (odiano) – che dobbiamo dimostrare di essere i più forti nonostante la continua denigrazione.
Un campionato con forte dislivello
Per fortuna, oggi Callejon e Sarri hanno detto altro. Com’è normale che sia per due uomini di sport. Che hanno fatto della sport la propria ragione di vita. La propria professione. Alla domanda sulla certezza di vincere l’Europa League in caso di eliminazione, Sarri ha risposto: «Questa domanda mi offende. La mia squadra vuole continuare in Champions». Aggiungiamo noi, in caso di vittoria dell’Europa League e campionato perduto, in città non sarebbero pochi quelli che si lamenterebbero. Guardiola e Sacchi – per fare due nomi non a caso – sono diventati Guardiola e Sacchi per essersi imposti in campo internazionale.
L’Europa calcistica – la Champions in particolare – oggi è il luogo della crescita. Anche considerando quanto sia scaduto il campionato italiano (e non solo quello italiano). Ci sono cinque squadre di livello, poi un piccolo esercito di resistenti, dopodiché formazioni molto scarse. Un dislivello che sta consentendo di battere tutti i record. Immobile potrebbe farne 54 a fine anno. Se non vogliamo arrestare il nostro di processo di crescita – e non c’è motivo per farlo – dobbiamo lottare in ogni modo per restare in Champions League. Nell’Europa dei grandi. Domani al San Paolo si giocherà una partita di grande livello. Il Napoli potrà scrivere, o comunque provare a scrivere (perché loro, ovviamente, sono i favoriti), una pagina storica di questo club.