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In difesa di Arkadiusz Milik

Parlare di Milik dopo Napoli-Nizza vuol dire parlare della percezione e del giudizio attorno al calcio. E l’errore di Arek, con tutto questo, non c’entra nulla.

In difesa di Arkadiusz Milik
Milik e Rog in panchina Photo Matteo Ciambelli

Ho visto cose

Su questo sito, su altri spazi web, su pagine Facebook, dalla bocca di certe persone (cui voglio anche molto bene, eh). In tutti questi luoghi del pensiero, ieri sera c’è stata una fiera della bestialità verso Arek Milik. Sì, lo so: parlo da innamorato pazzo, da ammiratore, da fan sfegatato o quello che volete voi. Ma sentir parlare di Marsiglia, cessioni, Pavoletti e Zapata vari mi ha fatto quasi piangere dal ridere. O meglio: mi ha fatto ridere per non piangere.

Io posso anche capire la rabbia del tifoso, quella che annebbia i pensieri e costruisce valutazioni storte, parziali, prive di logiche e fondamenti. Non la concepisco – sarà un mio limite o una mia presunzione, per me si può essere tifosi ma anche ragionevoli -, ma la posso pure capire. Ma mi chiedo come sia possibile arrivare a tanto dopo una sola partita. Anzi, dopo soli quindici minuti di gioco.

Analisi tattiche, psicologiche, psicosomatiche, letture della prossemica e del comportamento. Conclusioni nette, definitive, dopo quindici minuti di gioco. Ecco, vorrei sapere quando e come nasce la presunzione di poter arrivare a dire/scrivere/pensare certe cose. Sempre dopo quindici minuti di gioco. Una follia. A cui faccio fatica ad abituarmi. A cui non voglio credere.

Un anno fa

Di questi tempi, undici mesi fa, si parlava di Milik come una specie di nuovo messia. Inutile girarci intorno, è la stessa presunzione di cui sopra: certo, tre doppiette e un gol su rigore hanno un peso specifico decisamente superiore a quindici minuti di gioco (e meno male), ma poi venne l’infortunio e il Napoli era già spacciato. Perché proprio lui, Arek Milik, non c’era più. Abbiamo visto come le conclusioni affrettate e senza appello siano un grave errore procedurale. Ma non abbiamo imparato.

Oggi, undici mesi dopo, sono bastati quindici minuti di gioco (il precampionato non esiste) a far capire a una certa fetta di tifosi che “per Arek non è più cosa”. Che “non recupererà mai”. Che “Mertens si incazza giustamente, se lo togli dal campo”. E amenità varie che non sto qui a raccontarvi. Non mi pare il caso di fare certa pubblicità.

Le opinioni cambiano, è un bene che succeda. Gli estremismi no, non lo sono mai. C’è il grigio, tra bianco e e nero. Il grigio va esplorato, va capito, va aspettato. Sempre, perché è la vita che funziona così. Soprattutto quando si parla di essere umani, perché anche un centravanti è un essere umano e dunque va rispettato. Nella sua professionalità, nei suoi tempi, nei suoi errori.

Quindi, Arek, non ti curar di loro. Guarda ma non passare, però. Perché quando arriverà il tuo momento, perché arriverà, vieni a leggere i commenti e metti i like, i cuori, controcommenta e scrivi “Grazie”. E se pure questo momento non dovesse arrivare, però arriverà, ringrazia lo stesso e continua a non curarti di loro. Perché serve a poco, pochissimo. Tanto gli basteranno sempre quindici minuti, per giudicare.

Post scriptum

Come potete leggere, non ho mai parlato dell’errore di gioco, quel tocco facile ma mancato sotto porta. È una cosa lontanissima, laterale rispetto a questo discorso. È il calcio, è il gioco. Il vero problema sta in tutto il resto.

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