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Le tre cose da attaccante di Gabbiadini, Trevor Francis e il raffreddore

La partita non guardata. Prendiamo delle cose la differenza tra i rigori di Insigne e Gabbiadini, Mertens da tenerci stretto, questi che hanno fatto tre gol al San Paolo e non sappiamo chi siano.

Le tre cose da attaccante di Gabbiadini, Trevor Francis e il raffreddore

Prendiamo il gol annullato a Gabbiadini. Sì, partiamo da qui. Ancora una volta attacchiamoci alla bellezza, per attaccarci al tram siamo sempre in tempo. Ci sono molte cose belle da registrare in quella rovesciata. La palla finisce sulla traversa e Gabbiadini si rende conto dell’opportunità. Va verso la palla e mentre ci va (prima cosa da attaccante) guarda, giusto un’occhiata, verso il difensore alla sua sinistra, intanto la palla è in alto. Gabbiadini guarda e calcola lo spazio e il tempo. Lo spazio tra se stesso e il difensore più prossimo, tra se stesso e la palla. Tra se stesso, la palla e la porta. Intanto la palla scende. Gabbiadini si coordina per sforbiciare. E qui guardate il replay, quello che vi mostra la sua faccia (seconda cosa da attaccante); è l’espressione che prima ancora di riconoscere su un campo si serie A, o di Champions League, abbiamo imparato a riconoscere sui campi di quando eravamo bambini. Ci abbiamo provato noi, abbiamo ammirato quello sguardo in chi, più bravo di noi, ci sarebbe riuscito. Il calcio è una cosa complicata e semplice, certe qualità o le possiedi o no, e se le possiedi te le porti dietro da bambino. Ecco, io ho visto in quel momento il Gabbiadini ragazzino che viveva per il pallone, e che credo ci viva ancora. La rovesciata poi è splendida, e Gabbiadini sa di segnare nel momento in cui colpisce la palla, ne sono sicuro, (terza cosa da attaccante). Un gol così avrebbe meritato di essere gol vero, non è andata così, ma mi voglio segnare (proprio) quell’istante come il momento Gabbiadini, con un salto verso l’alto che guarda al futuro.

Prendiamo i due calci di rigore. Due situazioni simili, due modi di porsi, due risultati diversi. Prendiamo Insigne. Gli occhi un po’ bassi, sistema la palla e aspetta che l’arbitro fischi. Mentre l’arbitro indica ai calciatori del Besiktas dove posizionarsi, Insigne si volta all’indietro (avete notato?), non capisco se dica qualcosa o se qualcuno dei suoi compagni (fuori dall’inquadratura) gli dica qualcosa; Insigne poi scuote quasi impercettibilmente la testa, guarda verso la porta, l’arbitro fischia e poi sappiamo come è andata. Lo sguardo di Insigne, il fatto che si sia voltato indietro – in quei momenti – a me – ha fatto pensare a uno stato di poca concentrazione o di diversa concentrazione. Ho pensato che l’avrebbe sbagliato. Prendiamo Gabbiadini. Mertens subisce il fallo, l’arbitro fischia. Gabbiadini si muove verso Mertens, verso il pallone, si capisce ancora prima di vedere il replay che lo calcerà lui. Palla sul dischetto, primo piano. Gli occhi di Gabbiadini dicono che questo è un momento che conta e che pesa, dicono che il calciatore è concentrato. Gli occhi non mollano il portiere. L’arbitro fischia, io penso: è gol. Palla da una parte e portiere dall’altra. Questa cosa dei due rigori sarà capitata a molti e molte volte, spesso si capisce se un calciatore segnerà o sbaglierà; mi dispiace per Insigne e forse gli servirà. Mi dispiace che sia stato fischiato, aveva giocato un primo tempo straordinario. Poi ha pianto: come un calciatore che ha sbagliato piange, come un calciatore fischiato piange, come un tifoso che ha perso piange.

Prendiamo casa mia ieri sera. Prendiamo me, mezzo influenzato e senza voce sul divano. Me che scambio whatsapp con mio padre, che a dieci minuti dalla fine si addormenta e fa bene. Me che senza voce bestemmio in playback. Me che per ottantacinque minuti penso che la vinceremo. Me che penso che il Besiktas (e lo penso ancora) sia troppo scarso per batterci. Me e casa mia. Finestre chiuse, la gente nelle case, quel silenzio che è già invernale. Guarderanno serie Tv o orrende Fiction. Disney Channel, forse i cinesi in fondo al pianerottolo, col loro bambino piccolo e adorabile. Luci gialle e silenzio. Nessuno esce, nessuno ritorna. L’unica voce che sento è quella di Trevor Francis, l’unico coro è quello dei tifosi del Besiktas. Guardo la partita imbottito di medicinali per il raffreddore, un po’ ipnotizzato dalla sonnolenza. A ogni azione penso che segneremo, a ogni loro gol penso che pareggeremo, a ogni nostro errore penso che rimedieremo.

Torniamo a Trevor Francis. L’ex di  Nottingham e Sampdoria, va fuori di testa letteralmente per l’errore di Jorginho. Lo ripete ossessivamente a ogni replay, lo sottolinea nell’intervallo, lo ricorda nel secondo tempo, lo commenta a fine partita. Perché? Perché è un “orribile retro passaggio” come dice lui stesso e perché non se lo aspetta da Jorginho e non ce lo aspettiamo nemmeno noi. E invece. Ma è tutta colpa di Jorginho? Forse no, anche se in quella specifica azione ha peccato di leggerezza, aveva almeno un’altra possibilità di scelta, se non due.

Prendiamo Mertens e teniamocelo stretto. Credo che abbia fatto una partita straordinaria. Falso nueve o meno. Tante occasioni, grinta, voglia, impegno, classe. Un gol, due rigori procurati, quel colpo di testa in tuffo che meritava maggior gloria. Il più napoletano di tutti, un belga. Un fortissimo belga. Prendiamo Callejon, se ci riusciamo. Prendiamo Maggio, non lasciamolo perdere ma non chiediamogli di più.

Prendiamo me e casa mia. La partita è finita e io non ci credo che abbiamo perso, io non ci posso pensare. Mi domando ma chi sono questi? Come hanno potuto fare tre gol al San Paolo? Mi domando, mentre mi soffio il naso per la millesima volta, se davvero a 45 anni ci si possa incazzare ancora così per una partita. La risposta è sì. Allora penso che scriverò un pezzo domattina, che poi è stamattina, che è il mio modo di farmela passare.

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