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Romanzo napolista \ “Piacere, sono Ascarelli. E questo è il Napoli”

Undicesima puntata del romanzo “Hard Boilin’ Football” di Pasquale Guadagni.

Romanzo napolista \ “Piacere, sono Ascarelli. E questo è il Napoli”

Il neofascista Egidio La Croce, alle dieci del mattino del giorno seguente, uscì dall’hotel Excelsior in compagnia di Floyd e lo sbirro con la consegna di pedinarlo prese a seguirli. I due si diressero al campo sportivo in costruzione al rione Luzzatti, che la squadra di football di Napoli avrebbe ufficialmente inaugurato alcuni mesi più tardi. Lì la compagine dell’inglese, dopo qualche giorno, avrebbe sfidato in amichevole l’A.C. Napoli. Finalmente oggi vedrai un vero campo di calcio! – esclamò Floyd a Reginaldo, che era ancora annebbiato dalla serata precedente. I due, seguiti dallo sbirro in borghese, salirono su un tram e La Cruz, impugnando il plico del cameriere, iniziò a leggere ad alta voce i versi di Santa Lucia luntana. In breve sul tram quasi tutti iniziarono a cantare e Reginaldo, quando i passeggeri attaccarono con il ritornello, entrò diligente nel coro, pensando che di quel passo in pochi giorni avrebbe imparato l’italiano. Lo sbirro, per quanto la cosa gli sembrasse molto strana, concluse che Lenin nei suoi ultimi anni, già minato dal male, aveva ritenuto strategico diffondere quella canzone nel proletariato internazionale, ben prestandosi la nostalgia che la presiede ad una lettura sarcastica della poetica piccolo borghese menscevica. Questo brutt’affare si fa sempre più grande e mi travolge, – pensava tra sé – devo analizzare con freddezza, per non scottarmi!

Al campo sportivo Reginaldo e Floyd trovarono alcuni calciatori che tiravano in porta e, mentre il messicano rimase a guardare, rapito da quello spettacolo di poco conto ma per lui inedito, l’altro andò verso un casotto che poteva essere la direzione, per annunciare l’arrivo a Napoli della sua squadra. Dopo circa mezz’ora, Floyd tornò da La Cruz in compagnia di un magro signore dal naso affilato, sui trentacinque anni, vestito in un impeccabile gessato grigio. Questi, tendendo la mano a Reginaldo, si presentò: “Molto piacere, sono Giorgio Ascarelli, industriale tessile e presidente dell’A.C. Napoli”. Il messicano scattò sull’attenti facendo il saluto romano e, stringendogli la mano con vigore, rispose: “Camerata Egidio La Croce, fascista e amico del football”. State tranquillo – fece Ascarelli, sorridendo – con me non è necessaria tutta questa formalità. E’ un simpatico messicano! – intervenne un po’ imbarazzato Floyd. Benvenuti a Napoli, amici miei, – disse Ascarelli in inglese – di questi tempi il football è uno dei pochi modi per conoscere amici stranieri e stasera sarò lieto di ospitare a cena voi e gli altri amici della vostra squadra, cercherò di far venire anche qualche mio giocatore, così potrete fare conoscenza. Il football dev’essere veicolo d’amicizia e oggi ne sanciremo una nuova e duratura tra le nostre squadre.

Mentre Ascarelli parlava, Reginaldo era tornato a fissare lo sguardo su uno di quelli che tirava in porta, colpito dai molteplici modi in cui la buttava dentro. Allora, colto da un istinto irrefrenabile, si rivolse al presidente dell’A.C. Napoli, che intanto stava dettando a Floyd l’indirizzo del ristorante in cui avrebbero cenato, e in messicano gli disse: “Giorgio, voglio conoscere quel dritto che la butta dentro!” Ascarelli, capendo l’intenzione di La Cruz, gli fece cenno di poter andare, sottolineando che quello era il miglior centravanti della sua squadra. Reginaldo corse a perdifiato verso l’area di rigore e quando fu davanti a quel tipo si presentò come aveva fatto con Ascarelli. Il calciatore, divertito dal saluto di La Cruz, balzò pure lui sull’attenti e gli rispose per le rime: “E io sono il camerata Attila Sallustro, fascista e goleador!” Poi aggiunse: “Qual è il tuo vero nome, Egidio?” La Cruz, dopo un attimo di sorpresa, si sentì stranamente al sicuro e, in messicano, gli confidò: – Attila, mi chiamo Reginaldo La Cruz, ho iniziato come pistolero a Tijuana, ho continuato come anticomunista in Texas e ora che sono qui comincio a sentire le vibrazioni del football. – Interessante, amico, andiamo a mangiare insieme stasera, avremo di che raccontarci! – Di sicuro, goleador! Ci viene pure Ascarelli! – E allora io mi porto i miei compagni Buscaglia e Fenili, la crema del Napoli! – Allora a stasera, goleador! – A stasera, pistolero!

Reginaldo si mosse verso il bordo del campo, orgoglioso che Sallustro non avesse fatto una piega nel riconoscergli l’identità di fuorilegge. Era successo qualcosa di strano, e La Cruz si chiedeva che cosa, di preciso. Poi, di scatto, si voltò verso il calciatore e gli chiese: – Attila, perché gli altri calciatori li hai chiamati compagni e non camerati? Sarai mica un rosso? – Macché rosso, Reginaldo! Sì, li ho chiamati compagni, ma usa così…beh è vero pure che nel football i rapporti sono così impolitici, da diventare una sublimazione del politico stesso. Ma questo è un concetto complesso, ne riparleremo! Che figlio di puttana! – si disse La Cruz, raggiungendo Floyd e Ascarelli. – Allora c’incontriamo alle nove in punto! – disse Ascarelli congedandosi. Floyd e Reginaldo si allontanarono, mentre l’inglese invitava l’amico a riflettere su quanto era stato fortunato a vedere, per la prima volta nella sua vita, un campo di football in un impianto nuovo di zecca come quello. La mia fortuna – disse La Cruz, sicurissimo di sé – è stata quella di conoscere Attila Sallustro, il più grande calciatore del mondo. – Dimmi, Floyd, chi è il vostro portiere? – L’italiano che hai conosciuto. Il nostro portiere è rimasto in Inghilterra e in transatlantico, vedendo che Ferruccio se la cava, gli ho proposto di difendere i nostri pali per questa partita. – Ferruccio! Quel pivello con il temperino! Attila lo bucherà come un colabrodo. – Cosa c’è, Reginaldo, tifi già per i nostri avversari? – Caro Floyd, come direbbe Sallustro, sono impolitico, per cui mi sublimo politicamente. – Non ti capisco, ma quel Sallustro lo stai mitizzando troppo.

All’improvviso, Reginaldo si fermò di colpo e, col volto sbiancato, iniziò a sudare freddo. Floyd si preoccupò, ma lui, schermendosi, gli disse: “E’ successa una cosa assurda e solo ora me ne rendo conto: durante la nostra conversazione, io ho parlato messicano ed Attila italiano, ma ci siamo capiti come se parlassimo la stessa lingua. E’ veramente un miracolo!” Tu ieri sera hai bevuto troppo – chiosò Floyd. Intanto lo sbirro, che si era appostato sulle gradinate, alla vista di La Cruz che correva verso Sallustro e poi iniziava a parlare con lui, aveva deciso che la misura era colma. Se quella porca spia – si disse – cerca di corrompere il mio idolo per portarselo in qualche squadra rivoluzionaria, la cosa nuocerebbe non solo alla salvaguardia del fascismo, ma anche al destino del Napoli! Ora basta, vado in questura e in un modo o nell’altro lo faccio arrestare questo inetto che viene a Napoli a fare i comodi suoi.

Capo, insisto a dirvi che i miei sospetti sono suffragati da prove inconfutabili! Lo sbirro impiegò un po’ di tempo a convincere il suo superiore, che alla fine gli cedette. Al vicequestore, in realtà, quelle storie sembravano ridicole anche solo per ipotizzare che il messicano poteva, forse, essere una spia, ma alla fine prevalse la voglia di togliersi dai piedi quel sottoposto petulante, prevalse l’indifferenza verso quel diavolo straniero, prevalse che era Napoli, era l’Italia ed era il 1929. Va bene – esclamò il vicequestore, quando ebbe in mano il mandato di cattura dattilografato – vattelo pure a prendere in luogo pubblico, con il fragore che vuoi, così ti prendi pure la tua parte di gloria, magari se sei fortunato qualcuno ti fa la fotografia e poi esce sul giornale. Grazie, capo! – fece lo sbirro – In questo modo infieriremo un duro colpo allo spionaggio sovietico. Il duce in persona verrà informato, quando si farà piena chiarezza sulla vera identità di quella canaglia!

Lo sbirro, con il mandato di cattura sotto la giacca, si andò ad appostare fuori l’Excelsior e intorno alle otto e trenta, quando Reginaldo, Floyd, Ferruccio e il resto della squadra uscirono, si mise nella scia del gruppo. Benvenuti, signori! – esclamò fuori il ristorante Giorgio Ascarelli, in smoking bianco, attorniato dal pacchetto offensivo di quel Napoli ruggente: Vojak, Mihalic, Carletto Buscaglia, Attila Sallustro e Fenili. I convenevoli durarono un po’, del resto la squadra di Floyd era al gran completo e ad un tratto Vojak, che aveva contato dodici persone nella truppa di Floyd, chiese chi di loro non era della squadra. Reginaldo, come gli era successo con Sallustro, capì al volo l’italiano di quella grande mezz’ala che era Vojak e si fece avanti, destando lo sconcerto di Attila. Ma come, pistolero, – gli chiese il goleador del Napoli – tu non sei della squadra? No, Attila, ma tranquillo, sento che il football sta diventando anche fatto mio.

Mentre la compagnia prendeva posto a tavola, Reginaldo mise un braccio sulle spalle di Sallustro e disse: “Attila, una cosa mi turba. Com’è possibile che tu e i tuoi amici mi capite se parlo la mia lingua ed io capisco voi che parlate la vostra?” Embé – fece Attila, per nulla sorpreso – è una cosa normale! I grandi calciatori, scusa l’immodestia, parlano, intendono e lasciano intendere una lingua universale, che si comunica con la stessa velocità necessaria a realizzare un calcio di rigore. Hai capito? Forse sì – rispose La Cruz, turbato ancor più di prima. Fermi tutti, ho un mandato d’arresto per la spia comunista Egidio La Croce! – fu il perentorio esordio dello sbirro, mentre in tavola erano appena arrivati champagne e aragosta. A chi cazzo hai detto spia comunista? – fece Reginaldo, in messicano, alzandosi in piedi e impugnando minacciosamente la forchetta. Dev’esserci un equivoco, signor poliziotto! – intervenne Ascarelli. Nessun equivoco, – ribatté lo sbirro – sono qui come poliziotto e come tifoso per preservare i calciatori del Napoli dalla corruzione bolscevica! Ehi, poliziotto! – fece Reginaldo – Se ti dicessi quanti rossi ho fatto fuori con le mie mani te la faresti sotto per la vergogna. Ti prego, Egidio, – intervenne Ascarelli – lascia che parli io, occorre diplomazia. Nessuna diplomazia! Questa spia deve marcire in galera! Lo sbirro era furioso. Attila Sallustro richiamò l’attenzione facendo tintinnare il suo bicchiere con il coltello ed esclamò: – Signor poliziotto, voi avete detto di essere tifoso del Napoli. – Dio mi fulmini se non è vero, a casa mia è un dovere. – Bene, allora vi farà piacere sapere che il camerata La Croce, che negli ultimi tre anni è stato capocannoniere della squadra che affronteremo a giorni, sta per essere acquistato dal Napoli, per diventare mia riserva – Attila, voi siete il mio idolo, ma questo è un comunista! – Nossignore, costui è un vero esempio di militanza fascista, in Messico e in America ha veramente ucciso tutti i rossi che gli entravano nel mirino. – E voi come lo sapete? – Lo so perché il Napoli lo segue da tempo, lasciate stare quel pezzo di carta, ve lo siete fatto fare di vostra iniziativa, ma questa è una cantonata e anzi vi dico, se amate il Napoli, dovete sperare che il camerata La Croce divenga dei nostri. – Per me il Napoli viene solo dopo il Duce. – Allora strappate quel pezzo di carta, fidatevi!  – Però voglio l’abbonamento gratis l’anno prossimo. – Lo avrete, ve lo regalo io in persona, pure con l’autografo, va bene? – Sì, sono soddisfatto. Ma, d’ora in poi, quello che La Croce farà a Napoli non è mia responsabilità. Se un giorno Mosca precipiterà i paracadutisti sul rione Luzzatti, quel giorno non venite a cercarmi per ricucire, perché avrò già strappato l’abbonamento, Iddio mi perdoni.

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