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“Nostradamus, c’hai rotto li cojioni”: la rinascita del tifo goliardico a Foligno

Breve excursus di una tifoseria che non si è arresa nemmeno di fronte al terremoto, protetta da San Feliciano.

“Nostradamus, c’hai rotto li cojioni”: la rinascita del tifo goliardico a Foligno

Santi patroni impelagati col calcio, in Italia, se ne trovano eccome. Sono i protettori di tifoserie a metà tra il sacro ed il blasfemo, bersagli di invocazioni e imprecazioni, testimoni d’un tifo fazioso, ingenuo, verace.

Su tutti, san Gennaro: ça va sans dire.

Eppure, in Valle Umbra, è vivo il culto di un altro martire, patrono di Foligno (per inciso: anche lui albiceleste), che nel suo piccolo contende al custode di Napoli il primato della faziosità calcistica. È il vecchio Feliciano, trascinato dai cavalli d’una biga sino alla morte, il cui supplizio presagiva l’analogia che gli sarebbe toccata in sorte nei secoli a venire. Quella cioè d’esser tirato in ballo dagli H.W. – Hooligan Warriors del Foligno Calcio, ad ogni fischio d’inizio del 90°. In peritura gloria. Sua, della squadra, dei supporter.

Il cartellone prepartita: ”SESTO SAN GIOVANNI, PRIMO SAN FELICIANO”, partorito alla vigilia del match contro la Pro Sesto, è un manifesto di appartenenza. Fazioso, goliardico, medioevale. Di campanile, appunto. Un etnocentrismo che muove ogni azione delle tifoserie umbre, ad iniziare da quella folignate. Forse la più creativa, orgogliosa e anacronistica.

Del resto, il folignate è al centro dell’Umbria. Incarna tutti i cliché che caratterizzano questo piccolo cuore verde d’Italia. Che se si sapesse quanto è rognoso, combattivo, permaloso e cazzuto, questo cuore verde, lo si guarderebbe con occhi ben diversi.

Da Nostradamus alla C1

La prima, vera deflagrazione di questa “cojionella”, termine intraducibile che indica un mix di autoironia e sfottò, ha origini traumatiche. Siamo nell’ottobre 1997.

Il sisma che ha messo in ginocchio la città è passato da meno di una settimana. Danni incalcolabili, tensioni alle stelle, famiglie in ginocchio, scosse continue, soglia d’allarme altissimo. Nella tendopoli allestita intorno al campo sportivo, centinaia di persone, rimaste in mezzo alla strada si svegliano una mattina con in mano le copie di un anonimo pamphlet. “NOSTRADAMUS, C’HAI ROTTO LI COJIONI!” recita a caratteri cubitali il titolone de “Il resto del Quattrino – Edizione Straordinaria”.

Quella data sancisce l’ingresso, anzi: la riscoperta, prepotente, della goliardia folignate. L’ironia, la presa per i fondelli, la provocazione. Lo sfottò che stempera l’apparente bonarietà marchigiana con l’acidità toscana e il tempismo laziale. Alla prima partita utile, lo slogan dei tifosi del Foligno Calcio era diventato: “FOLIGNO – GUBBIO: OGGI TREMATE VOI!”

Siparietto:

Descrivere la tifoseria folignate è impossibile.

Misurare la naturale vocazione alla cojionella di questa altrimenti placida cittadina umbra è impossibile. Separare l’attività propagandistica dalla passione per il cibo, il vino, il talento per il beau geste in stile “Amici Miei” è impossibile. Foligno è riconosciuta da molte delle tifoserie nazionali la capitale del tifo goliardico. Nell’anno del passaggio alla C1, il 2008, (evento quasi miracoloso per una realtà tanto piccola), un think tank di menti sopraffine inizia a coniare alla vigilia di ogni match delle perle che vengono settimanalmente affisse in tutta la città. Lu Mocio, Lu Capo degli Ultrà, Lu Piccione, Il Santa, Lu Bomber: padri nobili di slogan e manifesti epici.

Deus lo volt. Dio lo vuole!

Il primo vagito HW si ebbe con la voglia di incitare la città alla campagna di tesseramento. “CAMPU A STENTO, MA FO’ L’ABBONAMENTO”: motto rassegnato, fatalista, ma non domo, che dette vita all’abitudine di selezionare, ogni sette giorni, un monito, un imperativo da lanciare alla città.

Nasce così il consiglio “FOMENTA IL VICINO”, piccoli adesivi che per anni compariranno ovunque: dal muro, al lampione, alle porte, alle macchine.

L’avvertimento: “A NOI CE RODE LU CULU”, accompagnato da un bonario “PERUGIA TE ODIO” sulle magliette albicelesti degli HW, e su due aste allo stadio; e sempre a proposito di due aste, su tutte, due: il lapidario manifesto dell’ottimismo: “LU PEGGHIU (il peggio, ndr) E’ PER CHI MORE”, a scanso di ogni equivoco sulla fragile caducità terrena, e l’immancabile: “LU PIÙ PULITO C’HA LA ROGNA”

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Tra tifo e santità

In realtà, il tifoso folignate ha sempre fatto della non belligeranza il suo manifesto.

Mai violenti. Mai politicizzati. Anacronistici, sì. Irriverenti, spesso, e volentieri. Bestemmiatori terribili, ma sempre in fissa tra santi e Madonne. (Del resto, siamo in Umbria).

Il match dell’Immacolata?

“8 DICEMBRE, VINCI PER LA MADONNA!!!”

La San Giovannese?

“SESTO SAN GIOVANNI, PRIMO SAN FELICIANO”

L’insicurezza ci assale?

“SE DIO C’AIUTA, POTEMO VINCE ANCHE CO LU DERUTA”.

E su tutti, il coro di Sant’Antonio a lu desertu, divenuto inno della Curva, co’ “Lu capo degli ultrà” ad intonare il ritornello:

“E’ LU SANTU DEGLI ULTRÀ,

E’ LU SANTO DEGLI ULTRÀ,

SANT’ANTONIO E’ LU SANTU DEGLI ULTRÀ….

A-NTO-NIO!!!!”

Un derby di 800 anni

Cliché, dicevamo. Ne abbiamo? A pacchi. Come se piovesse. Infiniti. E tutti maledettamente veri.

Non delude l’Umbria da cartolina. E non deludono soprattutto i suoi riottosissimi abitanti che si scannano da 800 anni a questa parte, dalle guerre comunali in poi. Per il controllo dell’acqua, dei campi, delle strade, del contado, delle abbazie… un continuo, secolare litigio di condominio, tra Foligno, Assisi, Perugia, Gubbio, Spoleto, che ha prodotto un rancore quasi amoroso. Un odio di purissimo nitore, una continua guerra di nervi, un ludibrio reciproco continuo, il cui mormorio oggi si ritrova, splendido, nelle partite, partitine e partitelle al di là ed al di qua del Tevere, sugli spalti di ogni ordine e grado.

“Perugia 0 – Foligno 2- PERUGIA CITTÀ DEL DIVERTIMENTO”, recitava il 6×3 fatto affiggere alle porte della città all’indomani del derby vinto contro la rivale di sempre, parafrasando lo slogan di un parco tematico perugino, ad onta dell’odiata, odiatissima Acropoli, capoluogo di regione mai abbastanza inviso alla Valle Umbra Sud. E ancora:

“ALLORA È VERO CHE C’È VITA DOPO SPELLO”, altro manifesto folignate alla vigilia del derby di ritorno, sempre in occasione dello scontro con la rivale.

E come dimenticare l’autobus scoperto, appositamente noleggiato, dal quale quattro tifosi folignati travestiti da sceicchi tiravano alla folla, a Perugia, migliaia di banconote false fatte stampare in occasione della tentata, e mancata vendita del Perugia Calcio ad un fantomatico petroliere arabo?

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Tra vigneti, campanili e fazioni

Quei 30 chilometri che separano le due città della Valle Umbra, (“sempre troppo pochi”, commenta amareggiato la memoria storica di questa storia, Giorgio Bomber Sorbi), sono oggi incanto di vigneti e oliveti. Eppure sono state campo di battaglia per secoli. L’uno contro l’altro, il folignate e il perugino, sempre e comunque in guerra. Una guerra che continua sotterranea sino ad oggi, fomentando quell’antipatia feroce e vivissima tra questi ed altri campanili che si fronteggiano ai due lati del Tevere.

È questa la linfa di un tifo che è fazione prima che bandiera. Signori, insomma: uno spettacolo di puro anacronismo: specie quando invoca il Santo, come si fosse ancora in guerra. E che pensa al morale delle truppe prima con la propaganda, e poi, immancabili, con le vettovaglie.

Gola e Goliardia

Cibo, tifo e vino. Non si prescinde, negli spalti del Foligno, dal convivium.

Ogni stagione del calendario, ancora oggi, viene sancita da rituali gastronomici. Il momento conviviale sotto la curva Marco Bucciarelli, prima delle partite più sentite fuori dallo stadio, è un tratto distintivo della cultura HW.

In autunno? Castagnata.

In inverno? Salsiccie.

In estate? Porchetta.

Dalle digestioni lente dei tifosi, sono nate negli anni delle perle di saggezza. Su tutte,

“NOI CO LU SESTU CE FAMO LU POLLASTRO”

“TUTTI A TIVOLI CO SEDIE E TAVOLI!”

“CHI NON VIENE A CATTOLICA JE PIJIASSE NA COLICA!”

La fila di salsicce, esibita in campo a mo’ di sciarpa a favore di tutte le telecamere presenti, finì ben presto agli onori della cronaca televisiva nazionale, attirando sui folignati attenzioni, sfottimenti, applausi a scena aperta, ironie e solidarietà. Ma era solo la punta di un iceberg, l’emblema di un’attitudine celebre tra le tifoserie di mezza Italia. A Cava dei Tirreni, la partita divenne una festa. E la frangia estremista venne accolta dai supporters della Cavese di casa con i coltelli, sì… ma anche con le forchette. E soprattutto con le pastarelle!

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