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Declino Udinese: ieri in Champions con lo scouting, oggi in zona retrocessione con lo stadio

Declino Udinese: ieri in Champions con lo scouting, oggi in zona retrocessione con lo stadio

Il sedicesimo posto dell’Udinese nella classifica attuale, pur ovviamente parziale, è insieme un record e una conferma. Un record, ovviamente negativo, perché è la posizione più bassa toccata dal 1995, l’anno dell’ultima promozione in serie A. Ma è pure una conferma dopo il sedicesimo posto della stagione 2014/2015. Quella di Stramaccioni, giusto l’ultima. Come dire: l’Udinese ha smesso di fare l’Udinese, è diventata una squadra mediocre.

Doveva avvenire prima o poi, ed è avvenuto nel momento in cui la proprietà Pozzo ha deciso di cambiare strategia. Una volta, l’Udinese viveva di scouting. O meglio, di solo scouting. Una continua ricerca di calciatori, dagli angoli più remoti o dai campionati più risibili del pianeta. Un arruolamento continuo, senza sosta, di giovani più o meno promettenti o conosciuti. Prima il lavoro di Pierpaolo Marino, poi quello un po’ più nel sottobosco di un altro ex napoletano, Andrea Carnevale, geniale capo-osservatore dei friulani. Volessimo fare un censimento veloce, potremmo finire domani. Quindi limitiamoci a qualche nome a caso, giusto per, negli ultimi quindici anni: Pizarro, Muntari, Handanovic, Sanchez, Inler, Basta, Asamoah, Benatia, Pereyra, Allan. Acquistati, valorizzati, lanciati e rivenduti con mark-up da favola. Grandi calciatori, bel gioco da vedere, spesso anche risultati e piazzamenti di grande prestigio.

Poi, come detto, ecco l’inversione di tendenza. Decisa, totale, completa: l’organico diventa solo un ingranaggio in un macchinario ben più ampio che vive di dinamiche aziendali strutturali e internazionali. La multiproprietà e gli scambi continui col Watford (portato in Premier League) e col Granada (in Liga), l’acquisto e la ristrutturazione dello stadio Friuli, diventato un gioiellino che però fatica a riempirsi. E che genera conflitti con il Comune per quel nome, Dacia Arena, che va addirittura contro un’ordinanza comunale. Il pallone e il campo sono diventati obiettivi secondari rispetto a una crescita corporativa che, però, non può fare contenti i tifosi. L’isola felice di Udine, infatti, è solo un lontano ricordo. Lo vedi nelle proteste dei tifosi per un campionato prima anonimo, poi mediocre, oggi addirittura pericoloso a guardarsi le spalle. 

E poi lo leggi nei risultati, nelle grandi occasioni perse all’inseguimento di un modello che sembrava perfetto e che poi ha toppato nel momento dell’evoluzione, dell’aggiornamento. Solo quattro anni fa, infatti, l’Udinese di Guidolin scippava al Napoli di Mazzarri (e di Hamsik, Cavani, Lavezzi e Pandev) la seconda qualificazione in Champions consecutiva, conquistando il secondo preliminare di fila dopo quello del 2011 (friulani quarti sempre dietro agli azzurri, terzi in classifica). Appena tre anni fa, Guidolin coglieva un’incredibile qualificazione all’Europa League dopo una rimonta fantastica: 39 punti nel girone di ritorno con 8 vittorie consecutive finali. Tre partecipazioni europee consecutive, tre eliminazioni nei turni agostani. La prima con l’Arsenal, e questa ci sta pure. Le altre due contro lo Sporting Braga e contro lo Slovan Liberec, e queste ci stanno un pochino meno. Guidolin, uno che ha davvero amato Udine, disse dopo una di queste sconfitte: «Quando ti cambiano tutta una squadra nel mercato estivo, è difficile assemblare una squadra all’altezza di partite così».

Da allora, la situazione è addirittura peggiorata. Perché, come detto, a Udine si sono concentrati a fare altro. L’ultima stagione di Guidolin, 2013/2014, è stata da 13esimo posto, comunque più su di dodici punti rispetto alla zona retrocessione. Poi vennero Stramaccioni e Colantuono, e insieme a loro calciatori di grido (?) come Guilherme, Aguirre, Hallberg, Piris. Insomma, solo imitazioni scadenti rispetto ai fenomeni in erba pescati negli anni scorsi, sempre pochi rispetto all’afflusso generale ma comunque in numero sufficiente a garantire, stagione dopo stagione, piazzamenti tranquilli e un buon tornaconto nel mercato successivo. 

Oggi, si naviga a vista con una squadra che cambia allenatore in corsa per la prima volta dopo cinque stagioni e mezzo senza ribaltoni in panchina. L’ultimo nel 2009/2010, con De Biasi sostituto di Marino e viceversa, con salvezza colta con due giornate d’anticipo. Quello che proverà a fare oggi il cavallo di ritorno De Canio, di nuovo in Friuli dopo l’esperienza positiva a cavallo tra secondo e terzo millennio. Era un’Udinese che studiava da grande, che iniziava a mettere le fondamenta per la sua invidiatissima politica di scouting e per stagioni da favola, come ad esempio quella 2005/2006 con Spalletti in panchina e la prima qualificazione alla Champions. Oggi è roba lontana, l’Udinese non è più l’Udinese ma ha bisogno di punti. E forse, questo renderà ancora più difficili le cose al Napoli, che nella terra di Zoff e Bearzot non vince dal 2007. Anche allora era una Udinese da settimo posto, che l’anno dopo arrivò fino ai quarti di finale di Coppa Uefa. Tempi lontani, oggi c’è una salvezza da conquistare. Che peccato.

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