«Non si gioca più a pallone per strada ma solo nelle scuole calcio che costano tra gli 800 e i mille euro, cifre inaccessibili per molti. Così i ragazzi giocano ai videogiochi»

Il Guerin Sportivo si chiede che fine ha fatto il numero 10? Dove sono i fantasisti che infiammavano con i loro colpi di genio? Per rispondere a questa domanda interviene Gianfranco Zola, leggenda del Chelsea e del Cagliari, l’unico che nel Napoli del secondo scudetto si permise il lusso di sostituire qualche volta Maradona: «La qualità tecnica del calcio italiano è calata e non produciamo più mezzepunte. L’attaccante rapido e fantasioso sta scomparendo dai radar e quei pochi che resistono vengono spostati sulle corsie esterne. Per via centrale, insomma, si attacca sempre meno. Di sicuro, ai miei tempi, quelli che dribblavano, controllavano la palla e la sapevano passare venivano dalla strada».
Oggi a pallone si gioca soprattutto nelle scuole calcio, luoghi protetti e in qualche caso addirittura professionalizzanti, che però a molti appaiono sempre più esclusivi a causa di rette che arrivano a costare anche dagli 800 ai 1000 euro l’anno.
«Il calcio quando ero ragazzo era davvero accessibile a tutti – ricorda Zola – chiaro che se i costi si alzano così tanto per molti diventa un problema praticarlo. E se i bimbi non giocano più per strada ma alla playstation, si genera l’impoverimento di cui parlavamo. Ai miei tempi prima della scuola calcio facevi 4 o 5 anni di quartiere. Io trascorrevo tre ore al giorno per strada, ed era una palestra eccezionale».
Senza dover tornare ai tempi di Maradona, nel 2000 in Serie A quasi ogni club annoverava un numero 10: Mancini alla Lazio, Del Piero alla Juve, Boban nel Milan, Baggio nell’Inter, Ortega nel Parma, Totti nella Roma, Rui Costa nella Fiorentina. Campioni che non dovevano giocare preoccupandosi di tornare per aiutare in difesa come accade oggi
«La difesa proteggeva, c’erano un paio di centrocampisti di interdizione che recuperavano la palla e avevano come primo obiettivo mettere in condizione me e tutti gli altri simili a me di riceverla. Il fantasista ha perso centralità nel gioco. Agli inizi della mia carriera, quando cercavo di dare una mano dietro per farmi notare, qualcuno mi rimproverava: “Non ti preoccupare tu, stai là che qui ci pensiamo noi”, mi dicevano. Poi ho giocato con Sacchi e con lui anche gli attaccanti dovevano fare un certo lavoro, come la prima pressione. Quindi posso dire di aver vissuto sulla mia pelle l’inizio di questa evoluzione».
Squadre come il Napoli e la Roma hanno deciso di far scomparire la 10 in attesa che possano tornare campioni come Maradona o Totti, altre squadre invece, hanno dovuto attendere. come la Lazio che ha trovato Luis Alberto che già con Inzaghi, e ancora di più con Sarri, ha arretrato il proprio raggio d’azione fino a diventare una mezzala che deve rincorre gli avversari altrimenti… resta in panchina. «Quando dico che sta mancando la centralità del giocatore mi riferisco a casi come questo – spiega Zola – Luis Alberto in un’altra epoca sarebbe stato libero di trovarsi la posizione giusta nel campo».
Il nodo resta quello dei giovani che vogliono emergere: «Avete visto quanto siamo forti con le nazionali giovanili? Teniamo testa a tutti. Poi i nostri smettono di giocare ad alto livello e la Nazionale maggiore s’impoverisce».
Da vice presidente della Lega Pro ha studiato una serie di regole «per migliorare i vivai prevedendo dei bonus per chi fa giocare gli under cresciuti in casa e altri per innalzare il livello delle competenze dei tecnici delle giovanili. La fascia critica è dai 10 ai 14 anni. In quella fase bisogna lavorare tanto e bene perché ti devi sostituire a quella che era la strada o il quartiere. Meno tattica e più tecnica di base: questa può essere la soluzione. E poi i giovani devono essere liberi di sbagliare, provarci, risvegliare e riprovarci. Io ho costruito così la mia carriera».
I moduli in fondo semplificano le idee calcistiche agli occhi della gente, ma rischiano di fare più danni della grandine su un raccolto: «Creatività, qualità, intelligenza: questo fa la differenza. Gli inglesi sono diventati così grandi perché hanno cominciato a portare in Premier i migliori e attorno a loro hanno costruito il modello che oggi conosciamo: Bergkamp, Cantona, Giggs, Vialli, Di Matteo… e sì, anche io»