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Palermo-Napoli, un lampo di Sperotto e Reja che marca Abbondanza

Palermo-Napoli, un lampo di Sperotto e Reja che marca Abbondanza

Bello per i tempi lo era e forse anche oggi è un bell’uomo di 65 anni, chissà. Il rossiccio della frangetta e dei capelli lunghi che diventavano anche basette, per l’irregolarità della barba poco folta, si associava allo sguardo da bel tenebroso da film americano. Di mestiere faceva, però, la punta, doveva buttare la palla nel sacco e a Napoli, dopo il radioso volto di Tonino La Palma che fece strage di cuori femminili ma anche di ali avversarie tenendole lontano dall’area azzurra, Sperotto non si fece pregare da donne imploranti ai suoi tendini di muscolosa punta, tutto nervi e scatti, un po’ alla Paolino Pulici. Gossip che, ovviamente, in questa sede interessano come il fuso orario da qui alla Nuova Zelanda ma all’epoca il bel “Giannantonio” colpì anche il cuore di una giovane e perdutamente innamorata Barbara D’Urso in cerca di notorietà quando posava per i calendari del Guerin Sportivo.

Tutto attaccato, si scrive tutto di un fiato: Giannantonio Sperotto. Vicentino, classe 1950, cresce nelle giovanili del Vicenza e da lì si accasa all’Udinese. È, però, un autentico nomade della pedata poiché cambia squadra ogni anno, cosa insolita per il calcio degli anni ’70. Va al Siracusa, alla Lucchese, all’Avellino e al Varese da dove il Napoli lo preleva per la stagione 1975-6. Gli basta segnare cinque gol nelle lande del varesotto per farsi comprare da Ferlaino per 300 milioni di lire.

Individuato come punta di rincalzo, l’annuncio avviene il lunedì dopo la fine del campionato, gara disputata dagli azzurri proprio in quel di Varese. Con la maglia del Napoli, al servizio della quale si alterna con Braglia come spalla nella prima stagione di Savoldi, mette insieme 10 presenze e un solo gol in campionato e contribuisce alla vittoria della Coppa Italia edizione 1976. In quella stessa estate il Napoli lo vende al Catanzaro, da qui alla Roma e finisce la carriera nella Reggiana a soli 30 anni per una serie di guai muscolari.

Dopo questo “nomade girovagar per il dolce mare del pallone”, scelse il silenzio uscendo definitivamente da un mondo al quale aveva tentato di dare gol ed emozioni ma che inesorabilmente lo fagocitò. Il suo nome è legato a due 0-3 esterni del Napoli, quello dell’Olimpico contro la Roma in campionato (lui e due reti di “Beppe-gol”) e quello di Palermo in Coppa Italia dove fa doppietta dopo il gol di Juliano.

All’epoca la formula del torneo tricolore era lunga e anche snervante. Si partiva con un girone eliminatorio di cinque squadre che iniziava a fine agosto e, se lo passavi, andavi a fare il girone finale che si disputava alla fine del campionato. Una formula che rendeva il finale di stagione più interessante e la finalissima, dopo un mese intero di andata e ritorno con altre quattro squadre, si svolgeva a Roma quando luglio era ormai alle porte. Oggi tutto questo non sarebbe più proponibile perché i ritiri iniziano presto e le squadre sono concentrate sul torneo che verrà. Si spiega così perché, in quegli anni, il massimo campionato iniziava ad ottobre.

In quell’edizione della Coppa Italia il Napoli pareggiò a Cesena, battè in casa Reggiana e Foggia ed andò a giocare la gara decisiva a Palermo il 21 settembre del 1975 davanti a 35.000 spettatori. Qui maramaldeggiò, appunto, con la doppieta di Sperotto e la rete di “Capitano, oh mio capitano” Juliano. I giornali parlarono di un giocatore rivelazione e protagonista di spicco della vittoria della Favorita, tutti i nuovi compagni lo abbracciarono calorosamente, lo strinse forte Savoldi, a cui faceva comodo l’alternanza tra il nuovo arrivato e Braglia. Entrambi, infatti, avrebbero dato il massimo per conquistarsi il posto e fargli da spalla, una lotta interna vinta poi nettamente dal capellone di Modena con 22 presenze e 4 reti. Sperotto dovette attendere sette mesi per avere nuovamente un momento di gloria. Fu, come detto sopra, contro la Roma quando sotto una pioggia battente e un campo ridotto ad acquitrino, il bel Giannantonio scrisse il suo nome nel tabellino dei marcatori, corse a dedicare la rete sotto la curva dei napoletani e sparì. Lasciando rimpianti e cuori infranti.

Come una pagina di un giornale che racconta la giornata di campionato appena trascorsa, in pochi centimetri di spazio, può mettere insieme un calcio che è (e forse fu) e quello che sarà da qui a pochi anni. In alto a destra le dichiarazioni del settantunenne Edy Reja, classe di ferro 1945, dopo la sconfitta della sua Atalanta contro la Juventus e, in basso, un articolo sulla futura introduzione della moviola in campo a partire dalla stagione 2017-18. Da una parte un uomo che continua ad allenare perché si diverte e perché il calcio è la sua ragione di vita, dall’altro sproloqui, commenti e discussioni sui pro e contro delle novità legate alla tecnologia nel calcio. Ebbene, noi ci mettiamo nel mezzo e immaginiamo che a un vecchio filibustiere del pallone quale Reja non farà piacere questo stravolgimento atteso, rimandato e poi ripreso fino ad arrivare all’ufficialità di pochi giorni fa. Edy è un uomo di altri tempi, non nascondo che mi fa una tenerezza enorme pensare che alla veneranda età che ha continui ad allenare, a discutere di tattica, a scuotere i suoi giocatori negli spogliatoi, a fare loro belle cazziate. Tenerezza sì ma Reja resta un uomo con gli attributi. Una cosa non possiamo toglierli, l’onestà, la sincerità e il pensare il calcio come una passione. Ecco, il punto è questo. Passione come Joe Turturro. Il calcio come in un film, passione come l’odore della canfora che massaggiava i muscoli degli atleti (sinceramente non so se la si usa ancora o se sia stata sostituita da altri prodotti) e come le maglie sudate. Oggi le telecamere negli spogliatoi, che non mi divertono per niente, non trasudano passione come quella che trapelava dalle attese di migliaia di spettatori che affollavano gli stadi tanti anni fa. Oggi sediolini multicolorati e vuoti. Dove è la passione nel calcio odierno?

Uscito dalla fucina di giocatori che era la Spal di Paolo Mazza negli anni ’60, Reja ha trascorso cinque anni della sua vita calcistica a Palermo ma ha giocato solo due volte alla “Favorita” contro il Napoli, di cui sarà allenatore dal 2005 al 2009. Lo ricordo così, con la frangia e la maglietta rosanera nel centrocampo siciliano, insieme a Pellizzaro, Landoni e Bercellino nelle immancabili figurine Panini. Il tecnico friulano era in campo 47 anni fa (16 marzo 1969) nella famigerata partita in cui Altafini fece il gesto dell’ombrello e che gli azzurri vinsero per 3 a 2, un risultato diventato 0-2 per decisione del giudice sportivo dopo gli incidenti seguiti al gestaccio del centravanti brasiliano. Quella di Palermo fu una gara al cardiopalmo dove le squadre si rincorsero fino al gol di Micelli che fece imbestialire il pubblico siciliano scatenando il caos con polizia e elicotteri a sorvolare il campo. Giornata uggiosa e clima quasi invernale, insolito per Palermo. Sullo sfondo della “Favorita” il Monte Pellegrino, in campo due squadre che sembrano non avere molto da offrire ad un campionato vinto dalla Fiorentina yè-yè di Pesaola in cui almeno sei club (Pisa, Varese, Vicenza, Verona, Samp e Atalanta ) su 16 erano di un livello mediocre. Poi ci si lamenta del Carpi e del Frosinone! Il Napoli, giovane orfano di Sivori che tre mesi prima aveva fatto a cazzotti con tutta la Juventus (se avesse potuto…) ed aveva preso il primo volo per l’Argentina salutando col suo cabezon. Il Napoli, di cui Ferlaino era divenuto presidente da poco meno di due mesi, lanciava in squadra Sandrino Abbondanza, alla sua seconda presenza quell’anno, affidandogli le chiavi della regia. Il fantasista napoletano aveva esordito la settimana prima nella gara interna col Bologna a soli venti anni giocando una buona partita. Reja fu il suo marcatore quel giorno. Edy era il classico mediano di spinta, faticatore di centrocampo ma con i piedi buoni, prendeva palla e ripartiva quando non mordeva le caviglie degli avversari. Quella pazza domenica di marzo il suo mister, Carmine Di Bella, disse di seguire come un’ombra “Sivorino” Abbondanza che, da buon numero 10, aveva ampia facoltà di giostrare a centrocampo. Reja lo fece bene come al solito, intimorì il giovanotto partenopeo, recuperò tanti palloni. E ripartì, con la sua frangetta che nascondeva il sudore di una vita da mediano.

(foto Archivio Morgera) 

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