Quando il Milan dei cannibali di Sacchi vinceva nel dicembre del 1989 la sua prima Coppa Intercontinentale a Tokyo contro l’Atletico Nacional de Medellin, fiore all’occhiello del narcofutbol colombiano, ero sveglio, a dispetto del fuso orario: mi trovavo nel letto dei miei genitori accanto a mio padre a vedere la partita in tv – se ben ricordo la davano su Italia uno – e a gufare intensamente il trio olandese Gullit- Rijkaard-Van Basten. Avevo solo cinque anni e gli ordini di scuderia di casa Incoronato erano stati chiari: o’ Milàn adda perdere. Non ne parliamo poi se si trattava di guardare il Napoli in tv o ascoltarlo alla radio: la mia libertà di pensiero e di espressione infantile più o meno artistica era inversamente proporzionale all’ansia di mio padre che in determinate circostanze può raggiungere livelli parossistici.
Con queste premesse etico-esistenziali, non potevo non diventare anch’io un tifoso accanito del Napoli, pronto a rinnegare qualsivoglia forma di lucidità mentale nel momento in cui sono chiamato a giudicare le prestazioni della mia squadra del cuore. Molti amici, infatti, restano alquanto basiti ogni volta che mi ascoltano mentre commento in diretta qualche partita di campionato o di Coppa: non riescono a vedere in quello strano personaggio invasato l’aspirante ricercatore universitario in filosofia morale. A dire il vero, però, non credo che il mio sdoppiamento di personalità sia un qualcosa di raro tra i tifosi-malati dell’intero globo terrestre: è cosa nota che assistere ad una partita di calcio in maniera – per usare un eufemismo – particolarmente interessata può dare la stura alle farneticazioni più assurde.
A questo punto sorge spontanea una domanda: il Napoli, ora, cosa deve, in qualche modo, pretendere dai propri supporters? L’aria che tira in città non è per niente salubre, ma risulta, anzi, inquinata da vari e goffi tentativi di destabilizzare l’ambiente. Si cerca la polemica a tutti i costi, si vedono complotti un po’ ovunque, le parole degli agenti dei calciatori vengono sottoposte ad un’analisi filologicamente minuziosa alla ricerca della parola che, interpretata in una certa guisa, possa scatenare la tempesta del secolo. I tifosi, dal canto loro, sono alquanto confusi: criticano il presidente, reo di non aver rafforzato la squadra nel mercato di gennaio, se la prendono con qualche giocatore un po’ in affanno, cominciano a sudare freddo al solo pensiero che l’anno prossimo Higuain possa andare via, passano bruscamente da uno stato d’animo all’altro, incapaci di fermarsi a riflettere per un attimo su un aspetto, a dir poco, rilevante. Al di là, infatti, di quello che è il gioco delle parti dal punto di vista mass-mediatico, il Napoli è a tre punti dalla Juve e ha cinque punti di vantaggio sulla Roma: questo è l’unico dato brutale che nessuno può mettere in discussione.
In questo momento particolare della stagione, noi tutti, pertanto, siamo chiamati ad una prova di maturità, nella misura in cui ciò che ora occorrerebbe è una sorta di entusiasmo razionalizzato. Lo so, si tratta di un ossimoro, l’entusiasmo, da che mondo è mondo, non ha quasi nulla di razionale; ma sta di fatto che conservare un minimo di freddezza intellettuale senza mai far venir meno l’apporto alla squadra, qualsiasi cosa succeda nell’immediato. Non intendo pormi su nessun piedistallo, costruendo un discorso pacato e ragionato: anch’io faccio fatica a scrollarmi di dosso in maniera decisa le scorie di un modo di pensare che, quest’anno più che in passato, può fare seri danni; anch’io vorrei prendere tre o quattro top player all’anno per vincere uno scudetto e giocarmela a viso aperto in Europa; anch’io vorrei uno stadio nuovo e all’avanguardia da ogni punto di vista; anch’io vorrei sempre la massima concentrazione dalla squadra. Ma queste aspirazioni, a volte giuste a volte del tutto campate in aria, devono, ora come ora, essere messe da parte. Al bando, dunque, il vittimismo, il complottismo, il criticismo esasperato ed esasperante nei confronti della squadra e della società, la ricerca di un capro espiatorio, di un agnello da sacrificare ogni volta che emerge un problema. Lo ripeto: sono un tifoso e in quanto tale, per statuto ontologico, vivo di una fede che non ha nulla di logico. Ma solo se si pensa che siamo in lotta per un traguardo che fino a pochi mesi fa ci sembrava un miraggio, possiamo ricordare che nella storia il Caso ha sempre ricoperto un ruolo fondamentale: sempre e ovunque, può succedere tutto e il contrario di tutto. E visto che il tanto odiato e bistrattato presidente De Laurentiis lavora in ambito cinematografico da una vita, potremmo cogliere l’occasione per ricordare a noi stessi che talvolta il mondo di Hollywood, tanto patinato e cool, ha dovuto inchinarsi ad una produzione indipendente, a basso costo, con budget, per attori e tecnici vari, assolutamente contenuti. Il presidente lo sa bene, è il caso che cominciamo a pensarci seriamente anche noi tifosi: sarebbe una bella prova di maturità.