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Volevo il Napoli fuori dall’Europa. Mio figlio mi ha fatto cambiare idea

Volevo il Napoli fuori dall’Europa. Mio figlio mi ha fatto cambiare idea

Che tifoso è un tifoso che tifa contro la propria squadra? Sto parlando di un tifoso abbonato ininterrottamente dal 1973, con un centinaio di trasferte in Italia e in Europa, di un tifoso che l’altra notte non ha chiuso occhio per la bile che gli ha provocato il muro di gomma rossonero, di un tifoso che ricorda il gol di Trotta al Frosinone con la stessa gioia di quello di Baroni contro la Lazio. 

Questo tifoso giovedì non andrà allo stadio, e questo già è un controsenso, ma non ci andrà per non vivere la partita masochisticamente, cioè provando un senso di tristezza e di angoscia con la vittoria, e al contrario con un sospiro di sollievo determinato da una sconfitta.

Non è pazzo questo tifoso, no; di sicuro ha perso quel disincantato modo di vivere il suo ruolo che lo ha sempre portato a credere ad ogni inizio di campionato fermamente nel successo finale, anche quando la coppia d’attacco era composta da Bellucci e Protti. Il nuovo calcio, quello fatto di statistiche su ogni movimento, sui bioritmi dei genitori dei giocatori, sui cicli mestruali delle compagne dei calciatori, lo hanno portato a ragionare, e il ragionamento lo ha convinto che il Napoli può vincere quella cosa là solo se non avrà ulteriori impegni oltre a quello del Campionato, quindi grazie Inter che hai eliminato il problema Coppa Italia e adesso forza Villareal che, passando il turno, farai la cortesia di lasciare riposare in pace i ragazzi che potranno allenarsi durante la settimana. Il tifoso sa immedesimarsi nei tifosi di altre squadre come la sua non proprio abituatissime alle vittorie, e ha sofferto con loro quando vide il Bayern perdere campionato e Champions per mano degli esperti Bavaresi, o l’Atletico Madrid del cazzutissimo Cholo Simeone sfaldarsi negli ultimi secondi della finale davanti agli odiati cugini. Ecco, il nostro tifoso egoisticamente questo tipo di emozioni non si sente pronto a viverle, un po’ perché di traumi ne ha già raccolti abbondantemente, l’ultimo è quello di Stamford Bridge, quando al tiro di Zuniga respinto da Cech stava per catapultarsi in campo per farsi cacciare fuori ubriaco di gioia dai cerberi inglesi, un po’ perché non vorrebbe che i suoi piccoli figli tifosi ne abbiano uno così grave già in tenerissima età.

Poi però questo tifoso, va a vedere la partita di suo figlio decenne la cui squadra perde 3-0 a 10 minuti dalla fine, e pensa già a quali parole di conforto dovrà usare; e invece questi ragazzi ci mettono l’anima e il cuore, si dannano fino a recuperare e vincere facendolo saltare dalla gioia insieme a loro. Di questa partita già persa e poi vinta si ricorderanno per sempre, perché i successi più sono complicati più sono indimenticabili, perché lo sport non è una scienza esatta, grazie a Dio; e dunque giovedì il tifoso allo stadio ci andrà, e tiferà come un ossesso. Come sempre.      

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