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Gasperini varca il confine e attacca i capi ultras. Il calcio si gira dall’altra parte

Gasperini varca il confine e attacca i capi ultras. Il calcio si gira dall’altra parte

Non era mai capitato. E chissà quando ricapiterà. Un allenatore di calcio che va in tv, fa i nomi dei capi ultras e dice chiaro e tondo che loro godono quando la squadra perde.

È capitato ieri a Genova, sponda rossoblù. Ed è successo grazie a Gian Piero Gasperini da Grugliasco, provincia di Torino. Piemontesità che nella dialettica della polemica i capi della tifoseria organizzata gli rinfacciano. Un modus operandi che noi conosciamo visto che spesso il presidente del Napoli è stato accusato di romanità.

Ma torniamo al Genoa. Ieri in curva Nord è comparso uno striscione (anche qui nulla di nuovo nemmeno per noi): “Il vostro progetto è inesistente, fuori dal cazzo allenatore e presidente”. Lui, Gasperini, ha risposto così, senza peli sulla lingua: «Lo striscione? Ai tifosi risponderò più avanti. Ma posso dire che ho un concetto dei tifosi del Genoa molto più alto che di Leopizzi o Cobra o Traverso (i nomi dei capi, ndr). Credo che la gradinata sia una cosa migliore. Quando ho visto questi, mi sono venuti in mente Criscito o le magliette di Sculli. Spesso questi vengono identificati con i tifosi del Genoa, io li identifico in altro modo, non con queste persone con cui ho avuto problemi. Quindi mi defilo e mi dispiace che a queste persone sia data visibilità. Io quando il Genoa perde sto molto male, invece quando il Genoa perde c’è gente che diventa protagonista e sta molto bene, acquisisce spazio su giornali e tv. Ho un concetto completamente diverso dei tifosi del Genoa e anche un rispetto del tutto diverso».

Va al cuore del problema Gasperini da Grugliasco, un uomo di calcio che in passato affascinò pure De Laurentiis. Anche se Aurelio lo tenne in una stanza col solo intento di indurre Mazzarri a firmare il rinnovo del contratto. La situazione a Genova è tesa da un po’. La scena dei calciatori costretti a togliersi le magliette durante Genoa-Siena resta una delle più tristi del calcio italiano degli ultimi tempi. Era l’aprile del 2012. Gasperini non c’era, aveva da poco rescisso il suo contratto col Palermo. Uno strano destino il suo, lontano da Genova non ci sa stare. Finì triturato da Moratti prima e da Zamparini poi. Per poi tornare. Laddove aveva stupito e divertito (e anche vinto, compatibilmente) col suo 3-4-3.

Ma con i tifosi, con certi tifosi, non è mai andato d’accordo. Lo scorso anno, dopo un pareggio interno con l’Empoli, il suo Genoa venne fischiato. Anche in quella occasione Gasperini non se ne stette zitto. «È molto deleterio avere una frangia del tifo che contesta – disse -. Questa squadra è alla pari con Inter e Fiorentina e merita una attenzione maggiore e maggior sostegno da parte degli altri tifosi. Qui a Genoa c’è troppa negatività, è un ambiente diverso da quello di anni fa, hanno vissuto periodi difficili, ma questa è una squadra che merita solo di essere sostenuta e non attaccata. Certa gente merita di non tifare alcuna squadra, perché sono incompetenti che hanno affossato giocatori di buon livello per esaltarne altri che non giocano da nessuna parte. Negli ultimi anni il Genoa è diventato una squadra più famosa per le magliette consegnate alla tifoseria che per le partite di calcio, noi stiamo facendo molta fatica per ridare peso a questa squadra, il Presidente ha lavorato tra tantissime difficoltà, penso che anche la maggior parte dei tifosi meriti di meglio». Tanto per gradire.

Una mosca bianca nel calcio italiano. Dove la stragrande maggioranza delle società sono inginocchiate ai piedi dei signori del tifo organizzato. Ed è ormai inutile tornare alle parole di don Fabio Capello («Il calcio italiano è in mano agli ultrà»). Gli episodi sono ormai settimanali. Non fanno nemmeno più notizia. I calciatori della Roma a rapporto sotto la curva Sud, i tifosi della Fiorentina che contestano Della Valle e una squadra quarta in classifica. E di esempi ce ne sono a decine.

Tra le altre cose, Gasperini si è macchiato di un’onta che è parsa irrimediabile: per lo scorso 7 settembre, giorno del compleanno numero 122 del Genoa, Gasperini aveva organizzato un’amichevole a Savona per approfittare della sosta della Nazionale. Quella sera i tifosi avevano organizzato una festa al palasport. Finì che la partita non si giocò, e giocatori e staff tecnico andarono alla kermesse. Comandano i tifosi. Sono loro i custodi della storia e dell’ortodossia (in questo caso rossoblù).

Dopo la sconfitta nel derby con la Sampdoria, un 3-0 poi diventato 3-2, la squadra è stata chiamata a rapporto nel piazzale Pio XII. C’erano tutti, giocatori e società (c’era l’amministratore delegato) a rispondere alla convocazione della tifoseria organizzata. Gasperini no, lui non l’hanno voluto.

Davide Traverso, il presidente dell’Associazione club genoani, ha scritto così sul suo profilo Facebook: «Non commento le dichiarazioni del piemontese, non cadrò nella trappola della ghigliottina mediatica. Io so solo che io amo il Genoa come la mia vita, il resto sono chiacchiere da milionari senza patria». I concetti sono sempre gli stessi. Come del resto i cori. Gasperini ha varcato un confine. Vediamo se qualcuno lo seguirà. Al momento il calcio italiano brilla per il suo silenzio sulla vicenda.

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