Credo di aver messo in imbarazzo una mia giovane conterranea durante la Fiera del Libro di Roma quando davanti ad una cerchia di amici provenienti da tutt’Italia ho raccontato i Capodanno Napoletani della mia infanzia, per la precisione più di quarant’anni fa ormai.
Capiamoci, la mia era una famiglia borghese composta da persone dedite a professioni nobili e liberali, prevalentemente cattolica osservante, dedita a santificare le feste riuniti amorevolmente intorno al presepe nel rispetto delle tradizioni: la nonna a capotavola, le creature al tavolo aspartate, ‘a peccerella, si ero io, in piedi sulla sedia a dire la poesia, la processione con il Bambiniello fino a dentro la mangiatoia, cose così insomma però già intorno alle undici e mezza le zie venivano mandate in soffitta a prendere quello che con un eufemistico termine veniva definito il “buonaugurio” che allo scoccare della mezzanotte si doveva obbligatoriamente ripetere ogni anno.
Veramente la storia cominciava già durante tutto l’anno appena trascorso: si rompeva una tazza? Si sbeccava un piattino? Si cambiava un lavandino? Una sedia perdeva un piede? Non si buttava via niente ma veniva amorevolmente riposto in soffitta o nello scantinato in attesa del capodanno. Ora voglio capire che l’attenzione tutta napoletana sulla questione dei rifiuti era già massima, che l’Asia ancora dovevano inventarla, allora si chiamava NU, Nettezza Urbana, che alla fine forse era meglio smaltire gli imgombranti tutti insieme in un sol botto, ma vedere una tazza di cesso volare dal quarto piano in strada a sei anni sono cose che ti segnano per tutta la vita. E se ti defilavi venivi pure richiamato, “Tiè ‘a nonna pigiate stu bicchiere e menalo abbascio accussì jttamm ‘o viecchio e arriva il nuovo”.
Mia nonna poco sapeva di riti apotropaici ma non avrebbe mai rinunciato al riciclo creativo dell’ultimo dell’anno e penso fu un bene che già novantenne ci abbia lasciato nei primi anni ottanta in tempo per non assistere all’agognata fine del “buonaugurio”. I botti no, non li sparavamo, giusto due stelline per le creature tanto, come diceva lo zio Pasquale, non avremmo mai potuto competere con il cavalier Maresca del quinto piano, notissimo commerciante del Rettifilo, che per la serata credo ingaggiasse oltre ai parenti tutti una batteria di fuochisti e anche qualche geometra, visto che la mattina dopo bisognava fare puntualmente i sopralluoghi per verificare la staticità delle fondamenta del palazzo. Si fece mai male qualcuno? No che io sappia, ma al mattino il cane Pushi i bisognini li faceva sul terrazzo perché prima delle tre del pomeriggio la strada pareva il Belice, o il Libano o se preferite Bagdad fino a che gli eroici operatori ecologici, allora si chiamavano munnezzari, non intervenivano con le ruspe, a saperlo Salvini si scompiscerebbe, per rendere percorribile la città.
Provo nostalgia? Non credo, se non per l’infanzia e la famiglia che è scomparsa ma mi piacerebbe che i Napoletani a Capodanno buttassero tutti via qualcosa perché mia nonna comunque aveva ragione, se non si fa spazio posto per il nuovo non ce n’è e Napoli si sta riempendo di tante cose bellissime e io all’anno nuovo le voglio vedere tutte. Auguri