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Valentino Rossi, il biscotto e gli sport immacolati

Valentino Rossi, il biscotto e gli sport immacolati

Ho sempre ritenuto il motociclismo come uno sport tra i pochi ancora immacolati, al pari del tennis, anche se continuo imperterrito a seguire il calcio ed il mio Napoli nonostante tra calciopoli, abuso di farmaci, calcio scommesse, scandalo passaporti, Blatter, Platini ed il bonifico inconsapevole, una persona sana di mente (ma il tifoso di calcio non lo è per definizione) avrebbe già chiuso il libro.

Le gare di moto sono sempre state caratterizzate da una sana competizione; il pilota prova a sorpassare sempre chi lo precede, a costo di fare errori e chiudere la gara sull’asfalto. Mi entusiasmano i trenini delle classi minori dall’inizio al traguardo, moto a 5 cm l’una dall’altra e la netta sensazione che nessuno voglia mollarne mezzo. Ho visto piloti cadere nelle prove e nelle qualifiche fratturandosi di tutto e dopo 2 giorni risalire in sella a quei mostri da 300 km l’ora come miracolati. Capirossi, per citarne uno, nel tentativo di domare una moto rabbiosa e difficile, non ha di sano nemmeno l’ossobuco.  Ed a me che se viene il raffreddore mi stendo sul divano con la flebo al braccio e la mia compagna accanto a farmi da Candy Candy, ha sempre fatto una certa impressione.

Ho cominciato a seguire Rossi nella 125. Devo ammettere che sono stato condizionato dal ragazzo prima che dalla sua guida, se non foss’altro per il suo contrapporsi all’allora star Max Biaggi il quale parlava di “impresa storica” aver vinto un GP con un dito fratturato quando – come detto – c’erano piloti che correvano con il catetere pur di vincere o comunque partecipare.

Ho capito che Vale è il più grande pilota di tutti i tempi quando dopo le critiche piovutegli addosso dai suoi colleghi per le vittorie da loro definite “facili” con la Honda (di gran lunga la moto migliore all’epoca) passò alla Yamaha contro la quale fino all’anno prima potevo giocarmela anch’io con il mio enduro vecchio di 17 anni. Pronti via e Vale con la sua M1 scodinzolante ed instabile accese un duello con Biaggi (su Honda) durato fino all’ultima curva che lo vide vincente. Uno spettacolo, un godimento puro. Una scommessa che solo un grande campione poteva vincere.

Molti duelli (Rossi/Biaggi, Rossi/Gibernau, Rossi/Hayden) sono stati spesso caratterizzati da comportamenti al limite (se non oltre) del regolamento ma a mio modo di vedere è giusto così, soprattutto quando ti giochi il titolo. Perché se sei un campione, un campione vero, prima che qualcuno ti spodesti dal trono ci metti tutto te stesso. Non tremi, non barcolli, non cedi. Ti spingi anche oltre pur di prevalere sul tuo avversario, cerchi di importi sempre ed a qualsiasi costo. E di riferimenti sportivi ce ne sono tanti, mi vengono in mente Schumacher, Senna, Prost. Nel tennis negli anni 20 a Suzanne Lenglen fu chiesto perché si impegnasse tanto nel battere le sue avversarie col punteggio di 6-0, 6-0; rispose che più le umiliava, più probabilità c’erano che perdessero fiducia e non diventassero delle avversarie temibili più avanti.

Insomma devi essere cannibale se vuoi fare la storia dello sport con la S maiuscola, altrimenti sei un Thomas Muster o un Niky Hayden qualunque. Campioni, non leggende. 

Ieri a Valencia ho rivisto certe scene calcistiche nel senso dispregiativo del termine. Ditemi dov’è la differenza tra il comportamento di gara dei ragazzini spagnoli e quello cristallizzato dallo striscione “volemose bbene” di laziale memoria. Si gioca non per vincere ma per non far vincere qualcun altro e questo è elemento nuovo in questo sport e vecchio nel calcio. Anche nelle interviste ho avuto un dejavù: le dichiarazioni di Marquez e Lorenzo mi hanno riportato alla mente quelle di Conte nel post-gol di Mountari. La fiera dell’ipocrisia.

Molti rappresentanti del mondo dei motori hanno catechizzato il comportamento di Marquez, schierandosi – chi più chi meno – dalla parte del dottore: da Loris Reggiani (non certo un tifoso del 46, come ripreso dal pezzo de “Il Napolista”) a Vettel, da Capirossi a Iannone. A tanti addetti ai lavori il comportamento di Marquez non è andato giù proprio perché inedito per la disciplina. Nella Moto GP è entrata la cultura del sospetto tipica del calcio e non può essere che un danno, visto che a pensar male spesso ci si azzecca soprattutto se hai i dati della telemetria in mano.

In Spagna difendono i loro campioni, qui come al solito ci si divide tra Rossiani ed AntiRossiani ed il loro riferimento alla questione fiscale di Valentino. Piccolo inciso: Maradona, Neymar, Messi, Biaggi, Rossi – gente che con tutto il rispetto non ha una gran cultura – non me li vedo proprio a pianificare società off shore o altre diavolerie per evadere il fisco. Al più gli si può contestare la scelta sbagliata di coloro che devono amministrare il loro enorme patrimonio ma è qualcosa che può capitare a chiunque; sappiate che se le somme per pagare le tasse che date al vostro commercialista se le intasca lui, agli occhi dello Sato italiano siete degli evasori fiscali. Non credo alla malafede insomma, poi ognuno la pensi come gli pare.

Detto questo, bisognerebbe mettere da parte antipatie personali e stringerci al nostro Campione noto in tutto il mondo, un’icona. Valentino Rossi È la Moto GP e questo è indiscutibile. Molti (me in primis) si sono avvicinati a questo sport per lui e molti se ne allontaneranno al suo ritiro. Non meritava un trattamento del genere, soprattutto dalla Federazione che nulla ha fatto per tutelare un protagonista assoluto e la regolarità della competizione.

Valentino rappresenta l’80% della Moto GP: il resto è biscotto.

FNS

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Luciano Grammegna 

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