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Giovanni, da Portici a Velletri con una certezza: «Napoli non dorme mai, il suo fascino è immortale. Il Napoli? Vinceremo la prossima»

Giovanni, da Portici a Velletri con una certezza: «Napoli non dorme mai, il suo fascino è immortale. Il Napoli? Vinceremo la prossima»

Ha origini sangiovannesi come il grande Totonno Juliano, radici che affondano nel passato ferroviario di Portici e un profondo legame con Napoli tenuto vivo dalla figlia Elvira, fuorisede universitaria a Napoli. Giovanni Sanzullo è nato a Portici 51 anni fa. I genitori, appena sposati, si trasferirono alle pendici del Vesuvio da San Giovanni a Teduccio, poiché il padre era capostazione alla ferrovia locale. Anche il nonno paterno, Giovanni come lui, era ferroviere: morì di broncopolmonite nel 1926 lasciando “in eredità” alla moglie i tre figli nati dalle sue prime nozze e altri tre maschi “nuovi di zecca”. “Non ho mai conosciuto mia nonna, morta a 67 anni stremata dalla vita, ma l’ho amata attraverso la venerazione dei figli”, spiega Giovanni, “una venerazione che ci ha portati a mantenere la casa di San Giovanni dal 1919 al 1997: dopo la morte di mia nonna era diventata quasi un museo”.

Fino ai suoi 19 anni Giovanni ha vissuto a Portici, nel quartiere Bellavista. Poi ha vinto il concorso per l’Accademia militare e, dopo due anni a Modena e due a Torino, è stato trasferito a Roma. “In un primo momento ho scelto di vivere ad Ostia, in un appartamento affacciato sul mare, poi, dopo 8 anni, ormai diciannove anni fa, abbiamo scelto una casa con giardino a Velletri dove convivere con cani e gatti, in campagna”. Sposato da oltre 27 anni con Lia, sua compagna di classe, insegnante di italiano e latino al liceo scientifico, Giovanni ha due figli, Davide, di 26 anni, ed Elvira, di 23: “Elvira studia Medicina Veterinaria a Napoli, abita vicino al Madre, in via Settembrini, e negli ultimi tempi è stata il mio principale legame con la città, che mi manca da morire”.

Giovanni racconta che Velletri è una città di collina nota soprattutto per la produzione di vino, olio e kiwi, che vi si parla uno strano dialetto molto diverso dal romanesco e che i suo abitanti (“velletrani” o “veliterni”) sono simpatici, un po’ rustici, dotati di una particolare fierezza contadini, “ma in prevalenza laziali”. La specialità tipica del posto sono i carciofi “alla matticella”, arrostiti sulle potature di vite e innaffiati con olio d’oliva locale, “ma sono ottimi anche il pane, le ciambelle al mosto, i funghi e, naturalmente, il vino”.

Di Napoli, che definisce “unica, impolverata e meravigliosa”, Giovanni pensa sia la più bella città, affascinante, misteriosa e ricca di luce e tenebra del mondo, con una vivacità culturale paragonabile solo a quella di Parigi e New York: “Napoli non dorme mai”, dice, e aggiunge che i napoletani “hanno ancora un’identità propria, originale, antica, complessa e contraddittoria come nessuno al mondo” e che l’Unesco dovrebbe mettere sotto tutela non solo Napoli, ma anche il suo popolo. Il suo luogo del cuore sono i Decumani: “Profumano di magia. Ci sono i colori, i sapori, gli odori, le voci e i gioielli più caratteristici della città. Ogni palazzo racconta storie e leggende. Napoli sta tutta lì, in quel fazzoletto di strade che si sviluppano in tutte le dimensioni, compresa quella sotterranea e quella dell’anima”.

La sua prima volta al San Paolo (“il tempio di Diego, uno scrigno di emozioni”) fu per Napoli-Fiorentina 1-0, gol del “gringo” Clerici, nel campionato 1974-75: “La mia partita del cuore però è Juventus-Napoli 1-3 del 9 novembre 1986. Quel giorno ero allo stadio, il Comunale di Torino, con i miei fratelli e due amici, uno del tutto disinteressato al calcio e l’altro juventino. Provai una gioia indescrivibile, cantai a squarciagola con i napoletani che erano ovunque, abbracciai sconosciuti con le lacrime agli occhi. Ebbi la certezza che il primo scudetto sarebbe finalmente arrivato. Indimenticabile”.

La partita la vede a casa, in salone, stravaccato sulla penisola del divano. È stato attento tutta la mattina a non arrabbiarsi con nessuno: “Trovo indispensabile stare in pace con tutti, se c’è una discussione in famiglia e non siamo sereni porta male”. Si perde nella bellezza delle maglie azzurre sullo sfondo di un campo verde e vive allo spasimo un primo tempo che porta sospeso nell’aria un gol che non arriva mai. Nel secondo tempo, tra occasioni incredibilmente fallite, continua il forcing dal divano, insieme al figlio e alla fidanzata, mentre Lia si aggira per casa come se cercasse di cambiare l’ordine dei fattori. Ma il risultato non cambia. Zero a zero e la sensazione di un’occasione perduta: “Un’attesa insoddisfatta, ma l’attesa non finisce mai. Ricomincia da subito, alla prossima andrà bene”.
Ilaria Puglia

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