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Dall’Argentina a Napoli per Maradona e la sua iglesia. Da Napoli a Roma a piedi per portare il pallone di pace a papa Francesco

Dall’Argentina a Napoli per Maradona e la sua iglesia. Da Napoli a Roma a piedi per portare il pallone di pace a papa Francesco

«Quando ero piccolo, alla tv, c’era sempre il Napoli. Tutta l’Argentina guardava il Napoli. Ma sapevo solo che giocava con la maglia azzurra e che giocava al San Paolo. Della città non ho mai saputo nulla. Vederla, essere qui, nella patria di Maradona, nel giorno del suo compleanno, è un’emozione incredibile». 

Jose Caldeira è a piazzetta Nilo, di fronte all’altarino col capello, si è affidato a due custodi dell’ortodossia maradoniana – Claudio Botti e Oscar Nicolaus – mostra alla ragazza del bar la maglietta della Iglesia maradoniana con la scritta D10S e lei gli chiede: “La vendi? È bellissima”. Jose si guarda attorno e sorride mentre osserva la massiccia presenza di Maradona nei bar, nei negozi. Capelli sulle spalle, biondo: «In Argentina spesso mi scambiano per Caniggia».

Jose è un istruttore di calcio, un allenatore e uno scrittore. È suo il libro ufficiale sulla iglesia maradoniana che ieri festeggiava il suo Natale: «Due sono le ricorrenze ufficiali: il 30 ottobre e il 29 giugno, il giorno della mano de Dios». Chiede quand’è che il Napoli giocherà al San Paolo, non vuole perderselo per nessun motivo. La casa di Diego. 

Jose è a Napoli, in Italia, per diversi motivi. Vorrebbe parlare dei suoi libri, della Iglesia maradoniana ma non solo. È un esperto delle barras bravas, i gruppi di tifosi organizzati in Argentina, altro livello rispetto ai nostri ultras. Vuole raccontare la sua esperienza con loro. I loro riti, gli scontri, le rivalità, i tradimenti. Ne parlerebbe per ore. In una pizzeria che guarda su piazzetta Nilo, Jose non ci può pensare che da noi si mangia una pizza ciascuno: «Nooooo, in Argentina si divide in tre».           

Se lo cercate su facebook non lasciatevi impressionare dalla foto di copertina che lo ritrae al fianco di Lionel Messi. «Lo so, lo so – dice quasi per giustificarsi – anche per me Maradona è più grande ma Messi è fortissimo. In Argentina si discute di questa rivalità tutti i giorni. Sempre. A ogni angolo della strada. Su dieci persone, otto sono per Maradona e due per Messi. Ma all’estero no, a Parigi, a Barcellona, dicono tutti Messi». A Napoli non c’è nemmeno bisogno di farla la domanda. Quasi impossibile trovare qualcuno che risponda Messi e con ogni probabilità sarà juventino. Sulla rivalità tra Maradona e Messi ha scritto il suo terzo libro.

Higuain non lo scalda. «In Argentina non emoziona, non si parla tanto di lui». Il suo idolo è un’altra vecchia conoscenza del Napoli. «Senza dubbio, Daniel Bertoni. Mio papà tifava per l’Independiente e ovviamente anche io. Quando ero piccolo lui ascoltava la radio e sentivo sempre la frase “l’Independiente vince uno a zero, gol di Bertoni”. Ho detto prima la parola Bertoni che mamma». E rivendica con orgoglio che Maradona da bambino era tifoso dell’Independiente. 

Il calcio, la passione per questo che fenomeno è riduttivo definire sport , è incredibile, sormonta le difficoltà di comprensione, dribbla Babele e si finisce a parlare di Bochini l’idolo di Diego. Quando lo nomina, Jose cambia aspetto, quasi si alzerebbe in piedi. Un’autorità. Nel Mondiale del 1986 giocò otto minuti, sostituì Burrichaga nella semifinale vinta contro il Belgio. Quando entrò in campo, Maradona gli andò incontro e disse: «Pase Maestro, lo estábamos esperando». Ci si incontra per Maradona e si finisce a parlare di Rucardo Enrique Bochini (Bocini) imperatore dell’Independiente, ci ha giocato per vent’anni consecutivamente. L’unica squadra a vincere per quattro volte di seguito la Coppa Libertadores, dal 1972 al 1975. Bochini c’era sempre. E poi quando si batte la Juventus, il fil rouge con Napoli non manca mai. «L’Independiente vinse in Italia la Coppa Intercontinentale contro la Juve». Perché i bianconeri persero sì la finale di Coppa dei Campioni contro l’Ajax ma gli olandesi rinunciarono all’Intercontinentale. In quegli anni lo fece anche il Bayern lasciando la finale all’Atletico Madrid. E fu Bochini a matare la Juventus di Bettega e Cuccureddu.

Maradona, Bertoni, Bochini. Il futbol. Ma Jose è in Italia anche per altro. «Voglio andare da Papa Francesco. Però voglio farlo in un modo particolare. Trasmettendo un messaggio di fratellanza e amore attraverso il calcio. Da Napoli a Roma a piedi con il pallone della pace. Perché il calcio non può essere violenza». Jose si allena da sette mesi a questa impresa. Con un medico, uno psicologo e un preparatore atletico. «Ho camminato venticinque chilometri al giorno. Sono pronto». A piedi, sarà un cammino di almeno otto giorni. Jose si è stampato il percorso, la Domitiana, Mondragone fino alla via Appia Antica e infine Circo Massimo, in via dei Cerchi e Lungotevere. «Lo so, state pensando che sono pazzo. Ma credo che ci sia bisogno di un messaggio di pace che arrivi dal calcio. E non c’è niente di più bello che questa impresa parta da Napoli, dalla città di Maradona, e arrivi al Vaticano dove c’è un papa argentino tifoso del Rosario Central». Partirà con la tuta ufficiale dell’Argentina. Magari, dice, porterà con sé anche quella Napoli. Gli sconsigliamo di indossarla e gli spieghiamo perché, a proposito di messaggio di pace nel calcio. Jose ascolta e ripete: «Devo portare quel pallone a papa Francesco».
Massimiliano Gallo

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