ilNapolista

Un libro su quel maledetto Napoli-Juventus 2-6 e l’interrogatorio di Vinicio sul modulo

Un libro su quel maledetto Napoli-Juventus 2-6 e l’interrogatorio di Vinicio sul modulo

Può una sola partita di calcio diventare un libro perchè ha segnato la storia di una squadra e di un’epoca? Evidentemente la risposta è ‘sì’ se Maurizio Ternavasio qualche mese fa ha dato alle stampe un “Napoli Juventus 2 a 6″, una avvincente narrazione che ruota intorno alla maledetta partita del 1974. Un racconto, a dire il vero, che risponde in pieno anche al sottotitolo che spiega “Il calcio e l’Italia di ieri e di oggi”, come a dire l’essenza del nostro sport racchiuso in una giornata di dicembre con un tiepido sole a fare da capolino sugli spalti del San Paolo. Il cielo in una stanza, l’ombelico di un mondo, gli anni ’70, che stava diventando di “piombo”.

Ho acquistato con curiosità questo libro poiché quella gara per noi napoletani è stata la Caporetto di sempre e per noi tifosi dai globuli azzurri ogni gol della Juve era una ferita, una fitta al cuore, un dolore lancinante. Il nostro corpo di soldati al fronte, forato e lacerato da sei fori, quello dei fucili e delle mitragliette sparate dagli uomini in bianconero che penetrarono, come nel burro,in una difesa che quel giorno era senza anima. Stanca e disorientata. Per dovere di cronaca mi preme sottolineare come l’autore del libro non abbia voluto mettere in cattiva luce il Napoli ed i suoi tifosi, non abbia intriso di lodi solo la Juve. Anzi dal testo non trapela alcun giudizio negativo nei confronti degli azzurri, lodati a più riprese per il gioco che seppero esprimere in quegli anni ruggenti e furenti.

Ovviamente Ternavasio è juventino ma questo non inficia minimamente la sua lucida analisi di due squadre che diedero vita ad una gara a suo modo epica. Ecco, egli non infierisce e non evidenzia la differenza di reti nel punteggio ma fa sì che quella partita diventi lo specchio di un’epoca e un pretesto per raccontare anni che non ci sono più, forse più veri e sinceri, quelli di un’Italia che si stava rivoltando come un calzino. Io di quel 15 dicembre del 1974 ricordo la spasmodica attesa della trasmissione del secondo tempo della partita alla Rai ma anche la disperata voglia di non perdere di Clerici, andato vicino alla tripletta per un rigore mancato. E la scena di un guardalinee, accasciatosi al suolo, colpito da una bottiglietta ad un minuto dalla fine per le intemperanze di chi, dai distinti, reclamava un altro penalty per il Napoli. Infine un groppone in gola che mi portai anche il giorno dopo a scuola.

Il motivo per cui scrivo di questa gara è anche un altro ed è legato a filo doppio al presente. Questi sono i giorni del modulo, di Sarri, delle sue scelte, dei timori di una critica troppo esigente, di una piazza “calda” con più di un milione di allenatori. Si cambia, non si cambia, si cambia, non si cambia, la questione è amletica e ci si rifugia in un semplice ma quantomeno banale “dipende dalle situazioni”. Leggi a chiare lettere : si gioca con i due esterni Mertens e Callejon o con Gabbiadini da seconda punta? Dipende dall’avversario. Stiamo ancora sfogliando la margherita e le uniche certezze sembrano il nuovo credo del ‘trequartismo’ affidato a Hamsik e il ‘rifinitorismo’ dato in mano al folletto Insigne. E’ tutto mobile ed ondivago, tutto cambia, anche all’interno di una sola gara. A memoria ricordo che i cambiamenti in corso d’opera al Napoli li iniziò Marcello Lippi che nella sua unica stagione a Partenope ci portò in Coppa Uefa con una squadra dal tasso tecnico non proprio elevato. Il tecnico viareggino partì malissimo ma, sapendo leggere bene le gare, iniziò a cambiare le pedine in campo con la velocità dei minuti anche all’interno di una frazione di gioco.

Il modulo, sembra strano, ma è anche il protagonista nemmeno tanto velato di quel Napoli che perse in casa con la Juve con quattro gol di scarto. Tutti dissero che gli azzurri avevano perso per aver schierato una difesa troppo alta ed allegra ma anche per la trasferta nel fango di Ostrava dove il mercoledì avevano giocato un infausto ottavo di Coppa pareggiando per 1 a 1 e sprecando tantissime energie per cercare di agguantare una vittoria che avrebbe permesso loro il superamento del turno. Tutto vero ma successe anche un’altra cosa che cambiò il corso di quella stagione. Il martedì dopo la gara con la Juventus, Luis Vinicio arrivò al campo scuro in volto e, con la sua andatura ciondolante, disse al magazziniere di voler parlare con i giocatori. Uno ad uno. Il via vai degli atleti sembrava quello di un ragazzo che non ha studiato o meglio di un condannato a morte. Teste basse, bocche cucite, silenzi impenetrabili, facce tese e preoccupate. Li chiamò tutti, da Carmignani a Braglia, riserve comprese. Chiese loro se se la sentivano, nonostante la sonora sconfitta, di andare avanti con ‘quel’ modulo. Sappiamo tutti che calcio praticava quella squadra, chiamatelo all’olandese, totale, moderno. Quella squadra era armonica, i giocatori si muovevano come una fisarmonica suonata da un maestro viennese, tutti aiutavano tutti e si andava al doppio della velocità delle altre squadre italiane dell’epoca. Bene, tutti, ma proprio tutti, dopo il colloquio chiarificatore, risposero “Mister, noi siamo con voi, andiamo avanti con questo modulo, crediamo in questo sistema di gioco”. Fu lì, in quella riunione a porte chiuse, che nacque una seconda volta il Napoli di Vinicio, un allenatore carismatico, ritemprato dalle parole dei suoi uomini. E da lì in poi si perse solo due volte, col Bologna e al ritorno in casa dei soliti bianconeri. Una gara di cui più guardo le immagini e più penso, per come finì, alla più “grande truffa del rock’n’roll”. Pardon, del calcio.
Davide Morgera (foto Archivio Morgera)

ilnapolista © riproduzione riservata