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Francesco Marangio, dopo Napoli-Juventus un cicchetto di limoncello sul balcone dedicato a Napoli. L’anima della squadra riempie il silenzio di Torino

Francesco Marangio, dopo Napoli-Juventus un cicchetto di limoncello sul balcone dedicato a Napoli. L’anima della squadra riempie il silenzio di Torino

“Napoli ha un cancro enorme nel cuore, un cancro che la strangola, che crea paura dentro e fa cattiva immagine fuori. Ed è colpa dello sfruttamento delle risorse che è stato fatto con l’Unità d’Italia, con precise scelte politiche e di politica industriale che hanno trasferito altrove competenze, industrie e centri decisionali”. Prendi un napoletano, trapiantalo a Torino, e diventerà l’ambasciatore della causa meridionale nel mondo. Lui è Francesco Marangio, 42 anni, nativo di Materdei. Si è trasferito a Torino nel 2003 per fare carriera nella Fiat, poi, nel 2012, appena ne ha avuto l’occasione, ha mollato il gruppo automobilistico ma è comunque rimasto a vivere a Torino. Insomma, Torino l’ha sfruttata, conquistata, e adesso se la vive tutta intera. Oggi Francesco è amministratore delegato della filiale italiana di una multinazionale tedesca, e nella ex capitale d’Italia si trova bene: “È una grande città ma a misura d’uomo. Qui la gente ha ancora la dignità di incazzarsi se le cose non funzionano, mentre noi, a Napoli, siamo rassegnati che tanto ha sempre funzionato così. Viviamo nella stessa nazione, abbiamo le stesse leggi, è uguale l’amministrazione pubblica, eppure per fare un documento al Comune, quando vivevo a Materdei, dovevo chiedere a mia madre di sentire il suo amico che lavorava lì, qui, invece, ho preso appuntamento online, sono arrivato in orario ed in tre minuti ho avuto una carta d’identità nuova. Questo mi fa incazzare”. Francesco si sente orgoglioso di essere figlio di Partenope ma dice anche che dopo qualche giorno di permanenza a Napoli sente il bisogno di andar via: “Non è facile viverci se non hai gli anticorpi giusti. Ora, da lontano, mi sembra una città che non ha una idea precisa di se stessa”. Racconta del fastidio che prova quando gli dicono che non sembra napoletano, solo perché l’immagine che viene propagandata al di fuori è quella di città sciatta, sporca, piena di nullafacenti. “Non si possono ghettizzare i napoletani in una definizione – dice – Ne ho incontrati di tutti i tipi quando giocavo a pallone per strada a Materdei negli anni ’70: alcuni di loro sono in galera, altri morti, ma altri sono diventati scienziati di fama mondiale. Dovremmo solo imparare a volerci bene e ad amare la nostra città ma per farlo bisogna impegnarsi. Sì, lo so che è facile dirlo da lontano…”.

Per lui che è ingegnere aeronautico e dirigente d’azienda il Napoli è una passione inspiegabile: “In quei 90 minuti vivo letteralmente la partita, soffro, mi dimeno, grido, sono un altro”. La sua prima partita al San Paolo è stata Napoli-Lanerossi Vicenza, nel 1979, a sette anni. “Ho ancora negli occhi il verde del campo, i rumori, gli odori, la curva B. C’era talmente tanta gente che vidi la partita schiacciato tra mio padre e mio zio”.

Ci racconta della sua predilezione per la pasta e fagioli “azzeccata” ma ci accompagna anche alla scoperta delle specialità culinarie torinesi come gli agnolotti del plin, piccoli tortellini ripieni di carne di manzo, maiale e vitello, conditi al sugo d’arrosto, o la carne di fassone, “non lontana, come qualità dalla chianina toscana” e dei vini, dal Barolo al Barbaresco, dal Nebbiolo al Barbera d’Alba fino al Roero, “davanti ai quali dobbiamo inchinarci” e dell’ottimo bianco, l’Arneis: “In questi anni mi sono dato da fare per avere un panorama chiaro dell’enologia piemontese – sorride – E comunque, quanto al cibo, non hanno la nostra varietà di primi piatti e gli manca il mare”.

La partita la guarda a casa, con la moglie e il figlio di tre anni, Andrea. Da quando vive a Torino, Francesco sente questa partita ancora di più: “Anche se qui non ci sono tanti juventini, il problema sono i figli di calabresi, pugliesi, siciliani e campani che cercano di ‘elevarsi’ odiando Napoli e il Napoli”. È a digiuno, per scaramanzia, lo stomaco pieno d’ansia, solo un Krumiro nell’intervallo. Passa novanta minuti muovendosi di continuo: seduto a terra, poi in piedi dietro al divano, poi addirittura rinchiuso in cucina per lo stress. Ma il suo urlo, alla fine, va a scovare uno a uno i meridionali che tifano Juventus in giro per il mondo. Napoli-Juve 2-1. Un cicchetto di limoncello sul balcone dedicato a Napoli: l’anima della squadra riempie il silenzio di Torino.

Ilaria Puglia

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