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“De Laurentiis vattene”. Ma siamo così sicuri che qualcuno voglia comprare il Napoli?

“De Laurentiis vattene”. Ma siamo così sicuri che qualcuno voglia comprare il Napoli?
Aurelio De Laurentiis (Ciambelli)

Il cugino di Al Thani. Mi manca. Per qualche mese ha rappresentato una pista, non so quanto concreta o verosimile, ma comunque plastica. Il cugino di Al Thani aveva un volto e un nome che davano forma al sentimento evasivo di buona parte del pubblico napoletano. S’era pure detto che a dicembre 2014 in quel di Doha avrebbe acquistato il club. I vespri anti-delaurentisiiani, tanto alimentati ma privi di una valvola di sfogo, si sarebbero potuti scatenare. Invece non se n’è fatto niente. L’attuale presidente è rimasto al suo posto. E con lui sono rimaste le annose e stucchevoli polemiche sul suo ruolo e sul suo spessore.

Parliamoci chiaramente: prima di augurarci che il produttore cinematografico voglia vendere il Napoli dovremmo sapere se c’è davvero qualcuno intenzionato a comprarlo. Lo stesso De Laurentiis nel 1999 tenne una conferenza stampa per dire: “Ho offerto 100 miliardi a Ferlaino per subentrare nella proprietà”. Non se ne fece niente, ma sapemmo che c’era una trattativa. Oggi invece siamo al grado zero. Non abbiamo elementi. Al Thani è scomparso nelle nebbie mediorientali da cui è stato evocato. Si tira in ballo Fabio Cannavaro perché trovi un acquirente, senza sapere se l’ex difensore tra Arabia e Cina abbia effettivamente conosciuto qualcuno nelle condizioni di fare un’operazione del genere. Qualche mese fa il Pallone d’Oro 2006 ha detto di aver consigliato a Mr. Bee l’acquisto del Napoli anziché quello del Milan: questo è quanto, e al momento non si può parlare del misterioso uomo d’affari asiatico come di un’opportunità persa. L’orizzonte è talmente fumoso che neanche la malevolenza trova basi per teorie cospirazioniste. C’è una saldatura tra parti del tifo organizzato e stampa locale per destabilizzare De Laurentiis? Boh, in giro non si vede nessuna “cordata Chinaglia” dall’ambiguo profilo e dalle ambigue intenzioni.

Insomma, siamo in un tunnel claustrofobico dove fatti ce ne sono pochi e parole a bizzeffe. Da due anni discutiamo con cadenza quasi quotidiana di una prospettiva, il commiato di De Laurentiis, che non c’è. E se teniamo conto che le prime forme di insofferenza al patron risalgono al 2006 (ma all’epoca erano minoritarie e in certi casi estorsive), di anni ne fanno quasi dieci. Mica è poco per una discussione che fisiologicamente non ha sbocco, ma che intanto suscita livore e che spacca la tifoseria. Quando tornai dall’Erasmus affliggevo amici e conoscenti con il quesito: perché Napoli non diventa una città bella e affascinante, ma anche produttiva ed efficiente, come Barcellona? E proponevo anche una mia lista personale di soluzioni. Sapete cosa? Non solo Napoli non stava per trasformarsi in Barcellona, ma non c’erano neanche le premesse perché ciò accadesse. Eppure io continuavo a parlarne. Annoiando amici e parenti. Come oggi ci annoiamo tra di noi su De Laurentiis. E c’è da dire che l’uscita di scena di Benitez impoverisce un dibattito di per sé scadente. Con il tecnico spagnolo l’attenzione del pubblico si divideva in una casistica più articolata di pro e contro qualcosa. Data l’irrilevanza mediatica di Sarri, siamo alla reductio ad unum. Che si venda un giocatore, che se ne compri un altro, che si pareggi una partita o si sbagli un fallo laterale, tra tifosi nel giro di due battute il discorso arriva a: “Quello è De Laurentiis che se ne deve andare” (dando per scontato che il successore sarà certamente più saggio e più danaroso, oltretutto, mentre sarebbe opportuno cautelarsi con un approccio critico al tema).

La diffidenza della piazza verso il presidente è talmente profonda che la querelle è destinata a non rientrare mai in proporzioni più sobrie. Basterebbe lasciar perdere i toni ultimativi da guerra civile. Al contempo Aurelio ha dato sufficienti dimostrazioni di alterigia per le quali non c’è da aspettarsi da lui aperture diplomatiche (anche ruffiane, che nel calcio si usa e non c’è male a farlo) per riguadagnare la fiducia del tifo. Ne consegue una preghiera laica a giocatori e allenatore. Un altro presidente poco apprezzato dalla sua tifoseria, Urbano Cairo, è riuscito a normalizzare i rapporti con l’ambiente grazie al lavoro di Ventura e dei suoi arditi granata. Almeno Insigne e compagnia ricuciano il rapporto tra squadra e città.
Roberto Procaccini

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