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#chiunquearriveràpeggiononsarà (il Petisso non sarebbe mai andato a Madrid)

#chiunquearriveràpeggiononsarà (il Petisso non sarebbe mai andato a Madrid)

La speranza, al triplice fischio di un comunque non al di sopra di ogni sospetto Rocchi di Firenze, è che in quella disgraziata valigia el gordo presuntuoso abbia messo anche tutto il suo campionario di promesse, bugie, false illusioni, millantato pedigrì europeo, vittorie e trionfi, coppe e scudetti, modulo moderno, manovra ariosa, gestione menageriale e blasone di ‘onna pereta fore ‘o balcone e che adesso, in uno spogliatoio di top players prime donne da prima fila al San Carlo, possa davvero dimostrare di essere quel grande profeta del Dio del calcio in cui sei milioni di poveri tifosi azzurri non sono riusciti a credere, chiaramente per demerito loro, per il troppo amore e la troppa passione che forse, anche nessun medico pare l’abbia mai detto, devono avere lo stesso effetto delle abbuffate di zagarelle della beata solitaria gioventù.

Ne seguiremo le eroiche gesta, questo possiamo sinceramente garantirlo da subito, e ne faremo anche il tifo, perché no, sbaglia il tifoso che crede delle altrui sventure ci si debba nutrire in caso di personale carestia, unica eccezione ammessa quella per sabato sera, ma solo per onorare i natali illustri della imprendibile pulce, non ci si tuffi come al solito nelle misere diatribe pallonaro-stivalesche di cui, francamente, nessuno più sente l’esigenza. Buena suerte, esimio stratega della tre quarti in sù, e ci scusi ancora per non esserLa venuta ad omaggiare all’alba di Capodichino ma sa, pur con il dolore e con la rabbia ancora da smaltire per un karakiri che nemmeno il tifoso più pessimista avrebbe mai osato immaginare, qui è già tempo di rifondare, perché mentre Lei è già alla quarta colazione a queste latitudini urge capire quali uomini partiranno a breve in ritiro e soprattutto chi sarà il prescelto per raccogliere la sua scottante eredità, se davvero il sanguigno nipote della tigre Arkan, se invece l’aeroplanino decollato anni fa dalla natia Pomigliano, ovvero ancora il sergente di ferro teutonico dall’impronunciabile cognome germanico, che, al netto del solito corredo di millantato prestigio transfrontaliero, potrebbe davvero tornare utile ove seco conducesse a casa lo scugnizzo biondo che tante difficoltà pare abbia avuto – chissà perché – ad ambientarsi ai commoventi tramonti borussiani.

E non è nemmeno il caso di ricordare che il Petisso avrebbe declinato qualsiasi offerta lontano da Partenope, o che comunque vi avrebbe al più mandato il suo personale Tassotti perché, per quanto possa sembrare assurdo quando ancora si stanno a smaltire le scorie della giornata più amara che un San Paolo da simile affluenza alle urne ricordi, il tempo davvero stringe caro il nostro don Rafaé, e allora hai voglia a dire che in fondo l’impresa era cosa fatta, ché un dannatissimo rigore non può condizionare un’intera carriera, ché tenere Manolo in Gabbia si era rivelata scelta azzeccata, ché Mertens ha dato come al solito tutto e che comunque poi avremmo criticato il suo eventuale basso minutaggio, ché il Callejon da indice Nasdaq di quest’anno tutto si può dire tranne che sia da ricondurre al modulo o alle richieste di sacrificarsi in copertura perché era de Maggio non fluidifica più avanti e dietro come la linea 1 Marina-Poggioreale, ché Rafael, Colombo, Mesto, Strinic, Henrique Iglesias, Zuniga, Giorgigno e Gargano difficilmente approderanno la settimana prossima a Barcellona e che insomma, al netto di tanti, troppi episodi sfavorevoli, la squadra quest’anno ha giocato davvero contro tutto e tutti, e ha portato comunque a casa un trofeo in una bacheca che ancora non necessita della soffitta della signora Donnarumma per fare spazio ai vagoni di coppe del glorioso passato. Bisogna fare le cose in fretta, e magari anche bene, e quando la Lazio andrà a in gita Kilmarnock sarebbe preferibile che a sudare agli ordini del nuovo allenatore ci sia già una rosa forte e competitiva, tale da permettere al coach di studiare quanto prima una formazione tipo, senza i soliti assilli di dover guardare nel soffritto domenicale per scrutare sensazioni su quali uomini schierare, ci sia finalmente un terzino che ridoni la speranza di innamorarsi del gioco sulle fasce come negli indimenticati Mak Pi 100 alla Mela, un centrocampista dai piedi buoni formato Belen che sappia sempre a chi darla, un centrale difensivo solido e roccioso, anche non bello da vedersi ma di grande efficacia, modello barriera New jersey a via Caracciolo per intenderci, due ali che giochino davvero per la squadra e che siano tra di loro complementari come le liquirizie Goleador, un interditore grintoso ma possibilmente meno basso di Pietra Montecorvino, una seconda punta che abbia almeno dodici gol a curriculum, in modo tale da sopperire alle inevitabili defaillàns del centravanti, senza che il tentativo di scardinare le difese di tutte le squadrette che verranno a Fuorigrotta a coprirsi per novantacinque minuti risulti vano come prenotare l’attraversamento pedonale ai semafori di piazza Borsa, e ovviamente un allenatore meno filosofo, meno apparenza e più sostanza, che sappia calarsi realmente nella parte ed affrontare anche i venti di burrasca ma sempre col timone fermo sull’asse Udine-Punta Campanella, che sappia dialogare davvero con i suoi uomini e non solo su wazzàp, per ritrovare finalmente gioco e risultati, non necessariamente per il tramite di una manovra più intensa dell’aroma del caffè di La Macchia Est. Il tifoso, smaltita l’ennesima delusione, saprà ovviamente fare la sua parte, e anche nel giorno più difficile, anche di fronte all’ennesimo boccone amaro da digerire senza effervescente Brioschi potrà almeno consolarsi con l’ashtag del giorno della liberazione: #chiunquearriveràpeggiononsarà
Otto Tifoso

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