Si sono bagnate le polveri. Le bocche da fuoco tacciono e, da squadra dal gioco corale capace di mandare più giocatori a rete, il Napoli si sta trasformando in équipe monocorde: se non segna il miglior bomber (Higuaìn), non lo fa nessuno. L’involuzione del Napoli si può leggere nei numeri in calo del comparto offensivo. In generale la squadra non è più cinica. Nelle ultime cinque di campionato, in tre occasioni gli azzurri non hanno violato la porta avversaria. Se ci mettiamo la trasferta moscovita di Europa League, quattro. Una sterilità sconosciuta fino a due mesi.
Il confronto con i numeri del Napoli alla stessa giornata dello scorso campionato sono inclementi. Il 23 marzo del 2014 gli azzurri perdevano in casa con la Fiorentina. Ciononostante, erano saldamente terzi (+7 proprio sui gigliati) a 58 punti, con 53 gol in 29 partite. Oggi il Napoli è in ritardo su entrambi i fronti: i punti sono 47 (-11), tante quante le marcature complessive (-6). Il numero di partite finite senza segnare è lo stesso (5). Vuol dire che la squadra è meno incline a fare più gol nello stesso match.
Colpisce ancora di più la differenza nella distribuzione delle reti. Un anno fa il Napoli aveva cinque giocatori sopra la quota 5 gol personali, di cui due sopra i 10. Il capocannoniere della squadra era Higuain con 14 reti, seguito da Callejòn a 10, il trittico Hamsik, Mertens e Pandev a 6 e con Dzemaili a 5.
Dodici mesi dopo, il Pipita mantiene la sua media con 13 gol. Secondo sul podio rimane il numero 7 spagnolo, ma le sue 9 marcature traggono in inganno: in un intero girone (dalla Roma alla Roma, da novembre a oggi) ne ha segnate solo due. Poi il deserto: Zapata a quota 6 è l’unica nota positiva (soprattutto mettendo il dato in rapporto con minuti giocati), dietro di lui ci sono Hamsik a 4, De Guzman e Gabbiadini a 3 e Mertens a 2.
In sintesi, il Napoli in due mesi si è trasformato in una squadra mazzarriana. Non ci sarebbe niente di male in via teorica: il tecnico toscano predilige organizzare il gioco in funzione di un terminale offensivo accentratore. È una scelta. Il problema degli azzurri è che questa scelta non l’hanno fatta, ma la subiscono nelle conseguenze. Senza Dzemaili non abbiamo centrocampisti che segnano. Michu è come non averlo mai avuto e Insigne è venuto a mancare sul più bello. Sulla crisi personale di Callejòn c’è poco da aggiungere, mentre Mertens solo negli ultimi tempi, pur senza incidere sul tabellino, sta tornando quello che conoscevamo.
I black-out della fase difensiva sono da due anni in cima ai pensieri dei tifosi. In estate aspettavamo un top player in cabina di regia e ne soffriamo ancora l’assenza. Dell’attacco non ci siamo mai preoccupati. Ma un adagio del calcio che fu diceva: “Prima il gol e poi il bel gioco”. Benitez è da qui che deve ripartire.
Roberto Procaccini