Gentilissima redazione del Napolista,
complimenti per l’alto livello letterario più che giornalistico con cui il sito espone le sue tesi. È un piacere leggervi sebbene mi ponga dall’altro lato della barricata. Ebbene sì, sebbene sia un giovane medico del vesuviano, mi picco di appartenere alla corrente dei pre-raffaeliti inglesi che sotto la Queen Victoria contestavano il Sanzio per aver “inquinato l’arte esaltando l’idealizzazione della natura e il sacrificio della realtà in nome della bellezza”, così favorendo l’“odiato accademismo”, come diceva lo storico Gombrich. Ma chi l’avrebbe mai detto che, passando dall’arte al calcio, sarei rimasto pre-raffaelita? Confesso: sono un nostalgico mazzarriano. Temo sia una patologia: tuttavia, nonostante la mia professione, non sono in grado di auto-diagnosticarla con certezza. Prima che i sintomi mi soverchino e ottundano la mia mente già prostrata dalla lentezza di Ghoulam e dai gol sbagliati di Callejon, mi unisco alla compagnia di giro facendovi la domanda più banale del momento: com’è possibile essere passati nel giro di un mese e mezzo dal mini-triplete (piazzamento Champions, finale di Coppa Italia, sogni di Europa League) in potenza al Nulla heideggeriano in atto?
In attesa della vostra risposta a più voci, che in parte si sono già espresse sul sito, abbozzo la mia, ricordando l’etimologia di due parole dal fascino ineffabile: destino e ossessione.
Destino è un termine che ha origine dalla radice indoeuropea “sta”, indicante lo stare fermo, immobile.
Ossessione deriva dal latino: esprime lo stato di assedio, ma più a monte lo stare seduto dinanzi a qualcosa.
Nelle parole è scritto tutto: l’ossessione e il destino hanno una comune nascita e talora una comune fine, come nel caso del Napoli di Benitez. La fissazione per alcune scelte (il 4-2-3-1 più immutabile dell’essere parmenideo, per esempio) come una profezia che si autoavvera ha portato al destino più amaro tra quelli già scritti nel giardino dei sentieri che si biforcano: il destino di un ritorno al punto di partenza, a quella mediocritas poco aurea da cui il Napoli storicamente è spesso partito. Appunto, non ci siamo mossi: è stata solo un’illusione, come insegna Zenone con i suoi paradossi sul movimento.
Adesso dunque avanti con il ritiro punitivo, ordalia antistorica e inutile al tempo dei social e dei procuratori che concordano con i loro milionari assistiti perfino come, quando e se esultare: a quando un chiarimento sul perché i due contraenti (il presidente e l’allenatore) hanno tradito vicendevolmente il patto siglato nel maggio 2013?
Ci attende infine la tana del lupo: si spera di uscirne vivi, anche se malconci, per non rimanere imprigionati in una caverna platonica dove il mondo delle idee è solo un pallido tremolio.
Cordialmente,
Alberto E. Maraolo