ilNapolista

Dialogo tra un Ciuccio e un Diavolo alla vigilia di Milan-Napoli

Dialogo tra un Ciuccio e un Diavolo alla vigilia di Milan-Napoli

“Ho sempre pensato a noi come a una perfetta sintesi tra la borghesia inglese e il popolo”. Mentre mi parla il Diavolo butta giù un caffè. Alla fine della nostra chiacchierata ne avrà bevuti quattro. È il primo dei miei incontri con i simboli delle altre squadre, un viaggio dentro le identità culturali degli avversari. Se è vero che una squadra di calcio è uno stato d’animo, se è vero come sosteneva il professor McClelland dell’Università di Harvard che il 30% di un risultato si spiega con la differenza di ambiente in cui si esplicita l’impegno, questa indagine tra i differenti modi di vivere il calcio potrebbe essere istruttivo. 

Ci vediamo al tavolino di un bar nei pressi del lago d’Averno, così, mi spiega, per lui non si rivelerà un viaggio faticoso l’andare e il tornare dagli inferi. Il Diavolo è colto e spiritoso. Non è mai noioso parlarci. Gli chiedo subito se intanto è d’accordo con la tesi di McClelland. “Può darsi sia vero, mi piacerebbe conoscere i dettagli della sua ricerca scientifica. Di certo il calcio è in grado di spiegare l’uomo, raccontarne gli sforzi e la tensione che mette in campo per superare le sue sfide di ogni giorno. È verosimile perciò che ciascun ambiente abbia le proprie chiavi interpretative. Il calcio è un simulatore della vita, mette alla prova le nostre paure e le nostre speranze. Voi per esempio siete una città e una squadra che vive all’insegna delle paure, con la perenne angoscia di non essere all’altezza del compito, quasi una certezza interiore a cui provate a ribellarvi ma senza troppa convinzione. Milano è città di speranze e il Milan è una squadra sempre sempre sempre animata da speranze. Il peccato contro la speranza, diceva Bernanos, è il più mortale di tutti”. Il mio dialogo sul calcio con il Diavolo comincia qui.

Ciuccio: “A guardare la classifica del campionato si direbbe però che alla città di Milano sono rimaste soltanto le speranze. Vedo un arretramento nel potenziale e nelle ambizioni che a me sembra pure lo specchio di una crisi cittadina complessiva. Penso ai ritardi sull’Expo, dinanzi ai quali Milano si pone con un sentimento che tu chiami di speranza ma che a me pare vera e propria incoscienza. Un atteggiamento che ai napoletani non sarebbe perdonato e che anzi, per tornare alla tua divisione fra città di speranze e città di paure, ti dico che forse noi stessi non ci perdoneremmo. Non vorrei che ti offendessi, ma mi viene in mente una vecchia canzone di Cocciante: povero diavolo, che pena mi fa”. 

Diavolo. “Non mi offendo, lo sai bene. Sono abituato da secoli a essere demonizzato nelle rappresentazioni artistiche. Quello che intendo dire è che con un grande stimolo e una grande fiducia in se stessi si possono sfidare i limiti. Questa non è una virtù che vi appartiene. La speranza non è statica, non è attesa. La speranza non è complemento oggetto, casomai è un moto a luogo. La speranza deve sempre avere la capacità di portarti da qualche altra parte”. 

Ciuccio. “Io capisco il tuo ragionamento e ti confesso che nella parte che ci riguarda arrivo anche a condividerlo. Non capisco però come tu possa credere che la confezione, se comprendo quello che dici, faccia il risultato. Anche Seedorf era una bella speranza, una bella confezione ma è finita come è finita. E Inzaghi, se devo giudicare da quello che vedo finora, mi pare un’operazione analoga. In questo hai ragione: un’operazione molto milanese. Un nome di spicco, una faccia spendibile, una triangolazione efficace con l’area marketing e ci siamo. Ma poi viene il campo”. 

Diavolo. “Il calcio è niente senza la parola. La parola è un magnifico lubrificante. Non voglio annoiarti, ma tutti i grandi discorsi dei grandi leader mondiali sono stati costruiti intorno al concetto dell’appartenenza e hanno fatto appello all’identità. La classifica di Mazzarri non era molto diversa da quella di Inzaghi quando qualche settimana fa è stato esonerato dall’Inter. Ma Inzaghi è uno di noi, Mazzarri non era uno di loro. Guarda adesso chi hanno preso per far digerire i giorni bui. Mancini. Che cosa è, questa, se non la conversione a un processo di speranza? Inzaghi è un prodotto chimico che allo stesso tempo bonifica il terreno e lo concima, garantisce la pace sociale e nella pace sociale si lavora meglio. Cosa che il tuo Rafa Benitez non ha capito. Lo “spalla a spalla” non va chiesto all’ambiente, figurarsi in un posto come Napoli, senza offesa, tu sai quanto io sia vicino alla tua città e la simpatia che ho per voi: ti ricorderai che una volta stavo facendo vincere il Giro d’Italia a Totò. Ma lo “spalla a spalla”, magnifico concetto, non va pietito, va imposto. Va imposto in modo subdolo. Passami il termine: in modo diabolico. La complicità te la conquisti passando una piccola notizia al giornalista, sussurrando la formazione giusta all’orecchio giusto, avendo nei salotti tv gli amici giusti, magari qualche vecchio compagno di strada. Non puoi chiedere complicità se non vuoi farti complice. Inzaghi in tv non deve temere imboscate: sono tutti suoi ex compagni di campo o di night. Benitez in tv va liscio solo se in studio c’è il suo maestro Arrigo Sacchi. Ma la comunicazione è tutto, e te lo dico proprio io che ho una pessima stampa”.  

Ciuccio. “Il punto debole del tuo ragionamento sta nel fatto che ignori come il campo, con i risultati, sveli poi l’inganno”. 

Diavolo. “Ti ostini a non capire. Anche quando eventualmente il campo dovesse svelare un inganno, avrai tra le mani una straordinaria macchina per leggere quei risultati o farli leggere in modo diverso”.

Ciuccio. “A me pare che tu ti sia assuefatto a un modello berlusconiano di interpretazione della realtà e del calcio”. 

Diavolo. “Brrr. Ti prego. Berlusconiano no. Questa cosa l’avete inventata voi a Napoli con Achille Lauro, che fu protagonista di una straordinaria stagione di commistione totale fra calcio, politica, comunicazione, consenso sociale. Noi la guardavamo dal nord e ne sorridevamo, dall’alto dei nostri capitali, il nostro liberismo, le nostre aziende. In realtà Lauro fu un anticipatore. All’inizio avere a che fare con Berlusconi e con la sua lettura del mondo è stato complicato per tutti i tifosi di sinistra e ovviamente anche per me. Ma abbiamo avuto i nostri vantaggi”.

Ciuccio. “Scusa, Diavolo, tu usi l’avverbio ovviamente come se fosse scontato associare te alla sinistra”.

Diavolo. “Di fatto è così. La mano sinistra è la mano del diavolo. Nella storia della chiesa italiana la sinistra, la sua cultura, i suoi intellettuali hanno rappresentato il male da combattere. Il demonio. E poi c’è tutto un cromatismo che fa riferimento a quel mondo là. L’inferno è rosso. Non dimenticare inoltre che le radici del milanismo sono decisamente nella working class. Conoscerai bene la vecchia divisione fra i bauscia dell’Inter e noi del popolo schietto, gli operai, i casciavit. Noi siamo nati plebei, dall’altra parte c’era la boria dei sciuri. Una volta, come scriveva Brera, se non ti piacevano le sbruffonate eri milanista”. 

Ciuccio. “In realtà siete diventati più sbruffoni e chiassosi degli interisti. Penso alla scritta dietro il colletto della maglia: la squadra più titolata al mondo. Penso agli elicotteri con cui il vostro presidente atterra sul campo. La cavalcata delle Valchirie suonata all’Arena Civica. Cesare Cadeo, le ballerine di Drive In, tutto un apparato che racconta una mutazione genetica e che, mi pare di comprendere da quello che dici, percepisci come una sorta di trauma”. 

Diavolo. “Ma quale trauma. Guarda, io sono arrivato a questa conclusione. Gli anni di Berlusconi ci hanno dato i mezzi culturali per conservare la nostra natura. Non siamo mai stati a Milano la squadra degli scrittori. Gli scrittori stavano con l’Inter. Pensa a quanto esibizionismo avrebbero messo loro in piazza, pensa a quanta narrazione della loro parte ci saremmo dovuti sorbire, se la partita più famosa della storia del calcio, Italia-Germania 4-3, fosse stata decisa da due interisti. Di quella partita tu ricordi il gol di Schnellinger che ci mandò ai supplementari e il gol finale di Rivera. Due dei nostri. Ma nessuno ci fa caso. Quasi non si sa. Questa è la nostra natura. Il minimalismo. Su questo terreno Berlusconi innesta se stesso. Ed è grazie ai suoi strumenti culturali, culturali in senso pop, la cultura del risultato, grazie a quelli noi oggi possiamo rileggere le pagine grigie della nostra storia e vantarci pure di aver vinto la Mitropa Cup. Io, grazie a Berlusconi, mi vanto perfino della retrocessione in serie B. Perché se l’Inter un giorno dovesse retrocedere, mi dico che comunque ci sarebbe riuscita dopo di noi. Il tifoso celebre in cui si incarnava il milanismo una volta era il mite Jannacci, adesso è lo spaccone Abatantuono”. 

Ciuccio. “Mi diverte molto questo tuo ragionamento, al punto che mi censuro e non ti chiedo come rileggeresti la sconfitta di 30 anni fa con la Cavese. Ti chiedo invece una cosa che non ho capito, se il Diavolo milanista è più Lucifero, Satana, Belzebù o Mefistofele”. 

Diavolo. “Sia chiaro che parliamo di una percezione. Io mi sento Satana, senza nessun dubbio. Il termine ebraico Satana significa avversario, nemico, colui che si oppone. Mi pare molto appropriato al nostro contesto calcistico. D’altra parte voi mi chiamate diavolo, ma io credo che Dio mi percepisca come una leale opposizione”. 

Ciuccio. “A proposito di Dio e di chiesa. Nel Medioevo i padri della chiesa ti rappresentavano come un mostro terrificante a tre teste. Poi nel X secolo vieni raffigurato con le ali spezzate. Mi viene da chiederti come può tornare a volare il Milan con una società a più teste, dove Barbara Berlusconi e Galliani sono sempre in contrasto”. 

Diavolo. “Non ci arrivi proprio. Te l’ho detto all’inizio. La speranza. Senza piangersi addosso. Tutto quello che possiedi non ti darà mai la soddisfazione assoluta. Non potrai mai possedere tutto, ma solo averne la speranza. E la speranza ti aiuta a credere. La speranza è la migliore propaganda di te stesso. Userò adesso le parole di un mio avversario, il quale dice: ciò che si spera, se viene visto, non è più speranza; ciò che uno già vede, infatti, come potrebbe ancora sperarlo? Ma se speriamo quello che non vediamo, allora lo attendiamo. Arriverà. Sono parole di San Paolo, al quale – voi – avete dedicato lo stadio. Il potere della speranza l’ha capito perfino la sinistra italiana, ma voi al San Paolo avete la testa dura. Avete vinto lo scudetto solo con Maradona e sai perché? Non perché Maradona fosse il più forte, ma perché voi lo avete riconosciuto tale. Lo avete individuato come una guida. La Guida. Lo avete sperato, e lo avete visto”. 

Ciuccio. “Prometto che ci rifletterò. Lascia che io ti chieda un’ultima cosa. Da ciuccio io amo molto i calciatori vicini alle mie caratteristiche. Gli umili. I testardi. Tra i milanisti del passato, per esempio, non sono mai impazzito per Van Basten o Baresi o Rivera. Avevo invece un debole per Tosetto, il Keegan della Brianza, te lo ricordi? O anche Marco Simone. Vale lo stesso anche per te? Intendo dire: ami i calciatori diabolici?”

Diavolo. “Lo so, ti aspetti che ti dica che ho amato Alemao quando si buttò a terra a Bergamo, oppure Maradona e i suoi gol con la mano. Ti aspetti che io sia dalla parte dei maledetti, che mi piacciano le scorrettezze, le slealtà. Sarebbe facile. È stato così bello dialogare sul calcio con te che invece voglio confessarti la mia vera debolezza. Io amo i giocatori religiosi. Quelli che in pubblico manifestano la loro fede in un Dio. Sono loro oggi a dare ancora un senso alla mia esistenza e a rendermi immortale. E se non si può essere immortali che si vive a fare? Li amo perché testimoniano una scelta di campo e in questo modo mi consentono di essere vivo, di combatterli. Diglielo a Rafael. Lo sto aspettando”.
Il Ciuccio

ilnapolista © riproduzione riservata