Del calcio in Italia ci si vergogna. È di gran lunga lo sport più seguito ma allo stesso tempo è considerato il più bestiale, il meno presentabile; insomma, qualcosa da non esibire. Parlare di calcio ti rende in qualche modo meno attraente, più banale, così italiano medio. Ed è per questo, e probabilmente anche per la progressiva sparizione dei grandi narratori, che il pallone viene poco utilizzato per raccontare fenomeni sociali. Eppure oggi nulla più del calcio è in grado di raccontare Napoli e le sue contraddizioni. Se dovessi consigliare a un reporter straniero un argomento per cercare di descrivere Napoli, gli parlerei senza dubbio del Napoli, del rapporto tra la città e la squadra, del clima lunare che si è creato attorno a Benitez e De Laurentiis, registi del miglior Napoli di tutti i tempi fatta eccezione per l’età dell’oro.
Eppure la città, che proverbialmente viene calcisticamente considerata una delle più calde, è ormai in preda a una metamorfosi che la rende di fatto irriconoscibile. Oggi chi si azzarda – non c’è termine più indicato – a schierarsi dalla parte dell’allenatore, della società, dei giocatori, insomma del Napoli, è guardato con diffidenza, quando non palesemente osteggiato o finanche deriso, in alcuni casi offeso. Oggi provare a dire che il Napoli è una squadra forte, competitiva, con un allenatore che in tanti ci invidiano – in Europa eh, non in serie A -, con calciatori che (sempre fatta eccezione per l’età dell’oro) raramente abbiamo visto da queste parti, è un atto di coraggio. Se non di incoscienza. Si vive in ritirata a casa propria.
Non so cosa sia accaduto. Sì, il refrain è la delusione dovuta alle illusioni che De Laurentiis ha lasciato cullare ai tifosi. È un’ipotesi che mi convince fino a un certo punto. Può bastare una dichiarazione (“quest’anno proveremo a vincere lo scudetto”, perché la certezza di vincere non ce l’aveva nemmeno il Brasile di Pelè) non suffragata da acquisti all’altezza dei sogni a giustificare una campagna d’odio (sì di odio) che si respira da agosto, che ha portato lo stadio a fischiare la squadra alla fine del primo tempo della prima partita ufficiale? Non lo so. E in ogni caso se la risposta è sì, non è tranquillizzante. Il tifoso – medio – del Napoli mi dà l’idea di uno stalker, uno di quegli uomini (o donne) cui poiché una sera l’oggetto dei loro desideri ha loro sorriso o magari concesso un bacio o altro, pretendono che diventi di loro proprietà. E basta. Senza discutere. Diventano ossessivi.
Perché ossessivo è il mantra “devi vincere”, talmente ossessivo che spoglia di ogni fascino il – presunto – raggiungimento del traguardo. Stiamo assistendo non solo a una spoetizzazione del calcio e del rapporto con la propria squadra del cuore, ma a una glacializzazione dello sport. Così come lo stalking è il lato malato dell’amore. Come in un videogame, il gesto, il suono emesso dal tifoso del Napoli è sempre lo stesso. Ripetuto all’infinito. Con rabbia. Con violenza. Poi, magari, in un anfratto di te stesso, mentre scarichi questa violenza, lo sai anche che ti stai disperatamente accanendo su qualcosa che non puoi pretendere, che va conquistato seguendo altre strade, che va curato, seguito, eppure non riesci a fermarti.
Napoli, la parte mediaticamente più rumorosa di Napoli, è diventata uno stalker del Napoli. Metaforicamente lo blocca con un coltello in mano e gli ordina di vincere: “Devi vincere, capito, devi vincereeeee!!!!!”. E non si ferma. E non si fermerà. Ha superato il limite e indietro non riesce a tornare. E non pensa ad altro. E non sa che si perde gli odori, i sapori, l’attesa, quella sensazione di smarrirsi in un bacio, di ridere delle proprie disavventure.
La settimana scorsa, a Radio Napolista, è intervenuto telefonicamente un tifoso da Monaco di Baviera. Leo. Del Lago di Garda. Si è innamorato del Napoli perché nel 1989 venne a fare il militare a San Giorgio a Cremano e quell’anno frequentò lo stadio. “Perché – chiese – è così difficile per voi accettare un tifoso del Napoli che non sia di Napoli? Tifo Napoli eppure quando guardo le partite con altri napoletani mi sento spesso un estraneo perché si finisce col parlare più della città che del calcio in sé”. E alla domanda: ma come gioca per te il Napoli di Benitez? Lui ha risposto: “Ma gioca benissimo, solo che non ce ne accorgiamo perché siamo presi da altro”.
Da una forza oscura – aggiungo io – una forza che tutto divora. Oggi non bisogna solo vincere. Bisogna giocare bene. Non subire tiri in porta. Bisogna dominare. E, soprattutto, non soffrire. Non palpitare. Mi avevi promesso che avremmo vinto e ora pretendo di passare all’incasso. Francamente non so come se ne esca da questa situazione ma è una situazione profondamente triste, che toglie la gioia del gioco del calcio.
Oggi è difficile persino provare a evidenziare i guai che hanno le altre. E no, troppo facile, devi parlare del Napoli e anche male. Non ti sottrarre alle tue responsabilità. Una forza demoniaca si è impossessata dei tifosi, a vari livelli. I più avvelenati sono proprio quelli che magari potrebbero indurre alla ragionevolezza. Provare a spiegare che abbiamo giocato appena sei giornate, che la squadra è forte, che l’allenatore è bravissimo, che potremmo prenderci tante soddisfazioni. E magari anche perdere eh, perché la vita è questo. Niente. Il fuoco autodistruttivo non accenna a placarsi. Lo stalker non ragiona. Lo stalker, in fondo, non sa bene nemmeno lui che cosa vuole. Solo che non riesce a fermarsi.
Massimiliano Gallo