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Contro De Laurentiis (con critiche al Napolista) e in favore dell’azionariato popolare

Contro De Laurentiis (con critiche al Napolista) e in favore dell’azionariato popolare

De Laurentis ha concluso la sessione estiva di calcio mercato con 2 milioni di attivo, in perfetta chiave impreditoriale.

Certo se quel buontempone di Benitez avesse superato i preliminari della Champions, come era nell’ordine delle cose, considerando il divario di fatturato rispetto al Bilbao, una parte di quei mitici 30 milioni, andati perduti inspiegabilmente, De Laurentis li avrebbe investiti per l’acquisto di qualche giocatore prospettico secondo i canoni della sua indiscussa competenza in materia.

Eppure a Dimaro, in una atmosfera di generale entusiasmo, al popolo festante dei tifosi (5000 secondo Il Mattino, 3000 secondo la perfida Gazzetta dello Sport) il Nostro non si era limitato a promettere lo scudetto, ma aveva seguito, con l’occhio vigile del padrone della scuderia, la preparazione della squadra in vista dei preliminari, mentre i suoi talent scouts erano sguinzagliati dappertutto per scoprire giovani promesse per il Napoli del futuro.

A dispetto di tutto, a causa di una preparazione sbagliata e di scelte tecniche inspiegabili da parte di Benitez, come unanimamente decretato dai salotti buoni televisivi, soprattutto sotto l’aspetto psicofisico, non sembrando i calciatori pienamente convinti della loro superiorità, per la cifra del fatturato che scendeva in campo, nonostante la partenza di Behrami, Fernandez, Dzemaili, la squadra è andata incontro a una disfatta epocale, al punto che finanche Aldo Grasso è stato costretto ad occuparsene.

È in atto uno scontro durissimo, dai toni accesi e drammatici, come finora non era mai accaduto, tra quelli che vorrebbero processare Benitez per alto tradimento o quantomeno per la sua indeguatezza al calcio italiano (vedi De Luca e non solo del Mattino: “Se Benitez soffre il calcio italiano”); tra quelli che contestano a De Laurentiis la sua codardia finanziaria quale causa esclusiva della sua ingloriosa uscita dalla Champion. Non ultimi e sicuramente più numerosi, i fedelissimi di De Laurentis che sposano appieno la sua filosofia societaria che assicura al Napoli, dopo le vicissitudini del passato, una tranquilla presenza ai vertici del campionato.

Non nascondo la mia sorpresa quando vedo tra loro quelli che hanno fatto sempre un netto distinguo tra la prosaica figura del presidente e quella dell’allenatore al quale hanno riconosciuto straordinarie qualità di cultura e di sport. Adesso mi sembrano peccare di coerenza quando danno per certo che Benitez alla fine della stagione andrà via, perché dimenticano quello che con largo anticipo avevano lucidamente denunciato avvertendo chi di ragione che Benitez non era l’omino di turno, pronto a coprire l’atteggiamento ambiguo del suo presidente rispetto ai programmi di rafforzamento della squadra assolutamente inadeguata in alcuni ruoli. Il metodo Mazzarri per intenderci, oppure quel magnifico “sparpetuo di cazzimma”.

Benitez, con grande senso di responsabilità, non si è dimesso e ha rilanciato, con l’invito a stare uniti spalla a spalla con la squadra, ma significativamente nel salutare l’arrivo di Lopez ha ricordato che non è Gonalons.

A questo punto, anche se bisogna riconoscere che la vicenda calcistica non è più un mero evento sportivo ma è sempre più integrata nel complesso commerciale dell’intrattenimento, resta il fatto che alla base di questo fenomeno resta intatto il fattore umano, costituito dagli appassionati di calcio, che sia pure con motivazioni diverse, vivono come un vera e propria fede la loro appartenenza ai colori di una maglia.

Questa fede, nella economia del sistema calcio si trasforma in un fattore di produzione, sicché paradossalmente, mentre in un luogo di culto il fedele non deve pagare il prezzo del biglietto di ingresso, negli stadi, ove si celebra la fede dei tifosi, sono questi a finanziare la produzione dello spettacolo sportivo. E ancora più paradossalmente, potendo ora le società di calcio professionistiche agire con la veste giuridica di S.p.a. con fine di lucro, il calcio è sempre più spettacolo e business che alla fine trasforma il tifoso in semplice consumatore.

Questa lunga premessa, se per un verso vuole denunciare l’anomalia di un sistema che consente di sfruttare in maniera indiscriminata a fine di lucro la passione dei tifosi, intende nello stesso tempo, più realisticamente, rimarcare la esigenza indifferibile della tutela dei diritti dei tifosi, soprattutto in quanto consumatori, nei confronti del produttore dello spettacolo sportivo

Queste ultime concitate polemiche intorno al club azzurro hanno reso evidente un problema, impietosamente evidenziato dalla mancata partecipazione alla Champions e cioè che la qualità del bene che De Laurentiis è in grado di offrire ai tifosi napoletani non è adeguata alle loro giuste aspettative e soprattutto al prezzo da essi pagato.

Il tifoso napoletano che a Bilbao c’è andato a proprie spese, e non con il charter della società, non merita di sentirsi dire dal suo presidente “a voi tifosi piace chiagnere e fottere”.

Napoli è ostaggio di De Laurentis, lo scafato imprenditore cinematografico che non ha mai calpestato il red carpet di Los Angeles, Venezia o Berlino, e che nel settembre del 2004 acquistò il titolo sportivo a parametro zero, cioè senza avere il capitale, perché la somma per l’acquisto del titolo gli venne assicurata da Carraro e Mediobanca.

Sta di fatto dunque che De Laurentiis, ammesso a calpestare almeno il green carpet dei campi di calcio, investì soltanto sul rischio di impresa e sulla passione dei napoletani e, non ultimo, sulla crescente diffusione dei media televisivi.

A questo punto, senza voler negare gli apprezzabili risultati sportivi della squadra, stabilmente inserita tra le prime del campionato, con un bilancio sempre rispettoso del fair play finanziario, occorre prendere atto, senza essere prigionieri del passato, che i traguardi finora raggiunti con l’attuale assetto proprietario, costituiscono il limite ponderale della società, oltre il quale non è ragionevole aspettarsi alcun passo avanti.

A ben vedere infatti la S.S.calcio Napoli è poco più di un effimero sportivo, fondata allo stato esclusivamente su di un titolo cartaceo e sul grande capitale umano del popolo dei tifosi partenopei.

Una società senza un patrimonio immobiliare, senza un proprio centro sportivo, senza una sede sociale rappresentativa e, soprattutto, senza un modello manageriale idoneo a professionalizzare tutti i settori aziendali, che sta alla base della gestione di una grande società, non soltanto è inadeguata rispetto alle dichiarate ambizioni del club e dei tifosi, ma nell’ambito del calcio che conta è poco più di un fantasma sportivo.

L’unico modo per venir fuori da questa situazione di stallo è che De Laurentis realisticamente prenda atto che la sua dimensione imprenditoriale, dal momento che l’82% dei ricavi della controllante Filmauro proviene dal calcio Napoli (Marco Bellinazzo del Sole Ventiquattrore) e la sua pervicace strategia aziendale, ancorata a una struttura familistica, palesemente inadeguata a un percorso di crescita progressiva, non gli consentirà mai di fare quel salto di qualità, sistematicamente promesso ai tifosi napoletani.

Allora sulla scia di qualsiasi azienda che vuol competere sul mercato, apra a dei partner che vogliano investire in un grande progetto, anche nella gestione proprietaria e redditizia dello stadio.

Questi partner, senza pensare agli sceicchi, potrebbero essere proprio i tifosi napoletani ai quali De Laurentiis potrebbe riservare una quota minoritaria della società, con il sistema dell’azionariato popolare, cioè a bassa caratura, ma che consentirebbe per la prima volta ai tifosi, piccoli azionisti, di entrare con pari dignità negli assetti societari.

Peraltro, siffatta apertura toglierebbe al tifoso ogni diritto e pretesto di pretendere dall’imprenditore privato, che agisce a solo scopo di lucro, di regalargli quelle ambizioni sportive cui legittimamente aspira.

De Laurentiis ha il sacrosanto diritto di fare i debiti scongiuri ma una società che dopo la vendita milionaria di Lavezzi e di Cavani non ha alcun margine di crescita se non quello di trasformare i calciatori in uomini sandwich della pasta Garofalo è soltanto un fantasma sportivo cui i tifosi potrbbero chiudere il rubinetto.
Antonio Patierno

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