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Fra caos e vendita “guidata”, sei ore in piedi per un biglietto per il 3 maggio

No, dico, ma poi i Borbonici saremmo noi? Borbonici nel senso di inefficienti & autoritari? Se lo pensate, leggete qui.

Si potrebbe fare un racconto molto colorato di queste sei ore in piedi passate ad aspettare di spendere 90 euro per la finale di Coppa Italia. Sei ore per comprare un biglietto costosissimo, che altri scelgono per te. Chi sono gli altri? Il governo di certo, visto che ha istituito la tessera del tifoso creando regole militaresco-bizantine. Lottomatica di certo, che, a dispetto di bravi e cortesi impiegati, funzionicchia ma poi sceglie un posto e te lo impone.

Prevenuto io? Ma benvenuti voi nel paese nel quale, alle undici di mattina, a vendita partita, un addetto ti dice: non accettiamo più carte, si paga solo in contante. E ti indica il più vicino bancomat.

Lo compro on line? E non siamo mica a Barcellona o in Inghilterra, dove compri un biglietto da casa tua, lo paghi un po’ di più ma quello ti arriva con la posta. Il calcio italiano è un paese in guerra burocratica, un mondo altro, dove si corre tutti a comando, come al cinodromo dietro la lepre.

Perché voi la sapete che oggi era lunedì 14, vero? Finita la settimana delle prelazioni abbonati, la vendita è libera e io, da over 60, posso comprare anche senza tessera tifoso. E so che potrei provare a cercarlo on line, il biglietto, ma io, come quei cento a Roma e gli altri che erano a Napoli stamattina, lo sappiamo che poi on line può anche finire male, che cioè non trovi niente, anche perché il sito che vende questi biglietti è di assai poche parole, l’avrà progettato un autistico.

E allora che facciamo? Facciamo entrambe le cose. Perché, vedete, noi abbiamo interiorizzato fin da piccoli un solo valore: la sfiducia che le cose possano andare per il verso giusto. E allora meglio provarle tutte.

Quando arrivo alle 9,45 in Piazza Ippolito Nievo a Roma, apertura uffici ore 10, trovo davanti a me 88 persone. Io numero 89. Tutti tifosi del Napoli. I “numeri” sono pezzetti di carta bianca, sulla quale è scritto a penna la cifra, li distribuisce un impiegato giovane, paziente e disponibile. Ma la metà di noi ha con sé uno smart phone o un tablet e ci prova, ci prova in continuazione. Io mi servo di un amico, una persona paziente, che da casa sua si mette a provare per me. Fra i presenti cinque o sei ci riescono, “Marò, l’aggio accattato, Patate’, e che è, Maronna mia bella!”.

Ma il sito va piano, non si capisce perché non si riesca. E soprattutto il mio “corrispondente”, che è uno sveglio, mi dice che da nessuna parte si trova la possibilità di comprare per gli over 60. Succede a molti un’altra cosa strana: che si arriva alla fine della procedura di acquisto e poi la transazione viene rifiutata. Questo punto del rifiuto, anche per chi ha normale tessera tifoso, lo confermano molti che sgrullano incazzati i loro dispositivi. Tutto questo ci raccontiamo in un capannellone che nel frattempo ha bloccato il traffico pedonale di viale Trastevere.

Ma la mattina riserva ancora molto per chi vuole questo biglietto, e meno male che il Padreterno ha deciso che oggi a Roma non piove. Però circolano voci eccitate di computer fermi e il sospetto dilaga e gli urli si sprecano, al punto che arriva la polizia. I 4 agenti ci guardano, restano dieci minuti, valutano la situazione, poi sorridono e se ne vanno: “Forza Napoli” ci dice uno.

Nella stessa agenzia si vendono biglietti per concerti, e chi cerca quelli non fa la fila, ovvio. Urli, sospetti, accuse: “Ci scavalcano!” Una persona con la divisa della Finanza sale al primo piano dicendo di dover andare nell’ufficio a destra. Qualcuno sostiene che sia andato nell’ufficio a sinistra (l’agenzia).

Impossibile verificare la voce. L’addetto dell’agenzia non parla più. Non sa che rispondere. Il popolo urla, Masaniello, nella persona di un ciccione con giubbino da motoretta e camicia blu, con pizzetto, annuncia: “Il bar accanto è senza luce, manca la corrente, il quartiere è al buio (sono le undici di mattina n.d.r.) non funziona niente”.

Questa la verifico. Il bar è al buio. Ma l’ufficio è ok. Soprannomino il ciccione “Cavalluccio Rosso”, da Riccardo Pazzaglia. Un successo: “Cavalluccioooo”.

La corrente c’è, ma alle 11,34 hanno servito il numero 13. Non va bene e non si capisce cosa stia succedendo lassù. Entrano due ragazzi e sono come ingoiati, escono dopo venti minuti, dopo che altri, entrati dopo, sono già venuti fuori col biglietto. Qui emerge l’ennesima grana: chi ha la tessera del tifoso fatta da marzo 2014 in poi non riesce a chiudere la transazione. Per qualche motivo il sistema non accetta la loro tessera (questo secondo quanto dicono i ragazzi). Sta di fatto che la cosa si ripete con altre due persone. Che succede? Non sono riuscito a verificare.

Innervosisce il ritorno del sempre uguale. L’inefficienza che apre la stura delle cattive abitudini. C’è chi urla e gli inquilini del palazzo non gradiscono, c’è il Perenne Cazzimmoso (furbacchone) che tenta il fugone su per le scale. Fermato, arringa: “Sono precario, ho un’ora sola libera, fatemi passare, se non torno in tempo mi licenziano”. La maggioranza dei lettori di questo sito è napoletana, evito quindi di riferire le risposte. Immaginatele. Ma una è carina assai: “E a me me sta murenno mammà e pur’io vulesse arrivà a casa a tiempo a tiempo pe l’esequie” (“A me sta morendo mia madre e io vorrei arrivare a casa giusto in tempo per il funerale”). Una voce annuncia l’arrivo di telecamere televisive (mai arrivate). Ma un’altra voce promette dichiarazione su Massimo Mauro (omissis).

Intanto si è fatto mezzogiorno e la fila si è accorciata. Efficienza? No: era tutta gente che aveva lasciato il lavoro e ha dovuto rinunciare perché doveva rientrare. Il mio 89 vola per forfait degli altri. L’addetto raccoglie le firme di prenotazioni per domani su moduli che parlano di tutto altro servizio (non hanno nemmeno la carta bianca). Ma aggiunge: se non venite prestissimo non garantiamo niente perché conta l’ordine di arrivo. E allora, che prenotazione è?

Non è colore, non sono battute, oggi si è rivista all’opera la nevrosi napoletana, fondatissima, che l’inefficienza e la mancanza di informazione celino l’imbroglio. Ma era il bersaglio sbagliato: perché la truffa, politica e giuridica contro la nostra libertà di scelta e di movimento, è che non stiamo comprando “un posto allo stadio”. Stiamo comprando un posto dove dicono loro. Io, per esempio, sarei voluto andare con amici in distinto nord ovest. Non ci sono riuscito. Ho preso la Tevere, dove ci sono altri amici. Ma vederli non sarà possibile, stanno lontani, sono abbonati, altra “allocazione”. A meno di non fare “il solito napoletano” e fottere il posto a un altro.

E poi Borbonici saremmo noi.
Vittorio Zambardino

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