Ma Andrea, morto a undici anni all’Heysel, non me lo toccate

Non è vero che sarebbe bello fermare il tempo, il bello del tempo è che deve passare. Dovrebbe passare per tutti. Invece Andrea avrà per sempre undici anni. E’ rimasto un bambino che aveva dei sogni e molte domande. Sogni di carta perché i computer non c’erano ancora, non quelli di oggi almeno, e risposte […]

Heysel

Non è vero che sarebbe bello fermare il tempo, il bello del tempo è che deve passare. Dovrebbe passare per tutti. Invece Andrea avrà per sempre undici anni. E’ rimasto un bambino che aveva dei sogni e molte domande. Sogni di carta perché i computer non c’erano ancora, non quelli di oggi almeno, e risposte non sappiamo dargleine neppure adesso che sono passati quasi trent’anni.

Ne avrebbe 40, Andrea, se fosse ancora qui. Delle 513 partite di Del Piero non ne ha vista neanche una. Non ha visto Zidane, e Peruzzi, e Buffon. Non ha visto gli occhialoni di Davids e la testa rasata di Vialli. Non ha visto la B, chi se ne frega di una retrocessione in serie B, anche quella sarebbe stata un dono per una vita così presto spezzata. Andrea avrà per sempre undici anni, non soltanto per la sua famiglia e per chi ha la Juve nel cuore.

Andrea è un nodo che ci portiamo qui, dentro la gola, tutti noi della famiglia del calcio. Andrea, e suo padre Giovanni che morì accanto a lui tenendogli la mano, e gli altri 37 tifosi uccisi a Bruxelles, stadio Heysel, sono il lutto che dovrebbe appartenere a tutti noi. Noi che vogliamo urlare e saltellare perché non siamo bianconeri. Noi che siano nati avendo in testa quella partita là, perché come disse Diego “quando un giorno me ne andrò porterò con me la voglia dei napoletani di battere la Giuve”. Noi che stavamo di notte sotto l’albergo a suonare i clacson per non far dormire Platini. Noi che battevamo le mani e urlavamo Dino-Dino, ogni volta che Zoff tornava da avversario a Napoli. Noi che abbiamo esultato al gol di Magath. Noi che abbiamo fatto il sorrisino il pomeriggio della neve a Istanbul. Noi.

Insieme all’altra metà d’Italia che juventina non è. Ma il confine è questo. Il confine è il lutto. Andrea e i suoi compagni di viaggio devono essere una ferita di tutti, è carne che brucia, che non possiamo più portare dentro uno stadio con un coro, con uno striscione, con una battuta. Se una comunità si regge su dei valori condivisi, quella del calcio dovrebbe individuare i suoi valori nel rispetto delle persone. Delle persone morte: morte all’Heysel, morte a Superga, morte durante un terremoto. E delle persone vive. Le poche che ancora entrano in uno stadio, sfidando il freddo, la pioggia, i tornelli, la burocrazia, il resto aggiungetelo voi.

Su tutto il resto scherziamo, e se ne abbiamo voglia magari litighiamo. Sui rigori, sui fuorigioco, sulle schede svizzere, su queste scemenze qua. Ma Andrea no. Vorrei che avesse 40 anni e domani sera fosse qui, a sentirsi dire che chi non salta juventino è. Andrea no. Andrea non me lo toccate.
Il Ciuccio

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