“Hanno vinto perché possono spendere più di noi”. Non è Benitez che spiega i 20 punti di distacco dalla testa della classifica, ma è Antonio Conte che parla. Siamo al 3 aprile 2013 e la Juventus è stata appena battuta in Champions dal Bayern Monaco. Quel giorno, sì, che i fatturati sono la voce giusta per spiegare una sconfitta e il divario tra le forze in campo. Lo spread, si diceva ancora a quei tempi. La Juve prese un gol dopo 25 secondi, c’era un fuorigioco centimetrico di Mandzukic, Pirlo non la vide mai, Buffon entrava nel suo tunnel e Conte parlò di soldi. Argomento che aveva usato già preventivamente: “In Champions esiste un gap con le squadre che non hanno difficoltà di cassa”. E vai con le cifre. Che la Juve faceva circolare a sostegno della propria tesi: 386 milioni di fatturato per i tedeschi e 195 per Torino. Il doppio delle maglie vendute e il doppio dei ricavi da sponsor. Quel giorno, sì, che si poteva illustrare una diseguaglianza con la vil moneta. Oggi che il Napoli prova a spiegare in questi termini i punti di distacco (nel frattempo 17), si offende la Juve con le sue mille voci. Marotta quasi zittisce Benitez, lo ammonisce, gli dice di pensare alle cose del campo, dimenticando che a Liverpool e a Londra Benitez era manager, e dunque quella sarebbe materia sua. Conte lo invita a fare bene i conti, pronunciando frasi non so quanto gradite ad Andrea Agnelli e non so quanto gradite a Carlitos Tevez. “ Noi abbiamo lavorato al risparmio, non mi sembra che sia arrivato Messi”. Conte sbandiera 100 milioni spesi dal Napoli. “Una volta tanto vorrei averli io 100 milioni…”. Si lamenta delle scarse risorse a disposizione: “Hanno speso più loro in un’estate che la Juve durante i miei tre anni. Quest’estate noi 25 milioni”. E’ da teatro di Feydeau la situazione in cui ognuno si sente insultato per il fatto di essere più benestante dell’altro (“Ricco sarai tu”, “No, tu”, “Milionario a me? E allora tu sei miliardario”). I conti di Conte sono viziati dalla prospettiva di dover accreditare se stesso come l’artefice principale dell’impresa di tre scudetti consecutivi. Come si dice a Napoli, si propone nei panni dell’uomo che ha fritto il pesce con l’acqua. Allo stesso tempo, giustifica così i fallimenti in Champions.
Ma i conti di Conte un po’ ciurlano nel manico. Tra il fatturato della Juve e quello del Napoli ballano 150 milioni di differenza. Se lo spread aveva un senso con il Bayern un anno fa, dovrebbe averne anche oggi. “Una cosa è il fatturato, un’altra le spese di mercato”, ribatterebbe a questo punto Conte non potendo occultare l’evidenza. In effetti non è la stessa cosa. Una buona fetta del suo fatturato la Juve lo ha utilizzato per ripianare debiti, molti dei quali legati alla costruzione dello stadio. Ma sempre di investimento si tratta. E se ci riempiamo la bocca di uno Juventus Stadium come modello di sviluppo dei club, come fonte di guadagno, come “uomo in più” di una squadra, allora questo “uomo in più” un costo te lo deve caricare sulle spalle. Hai speso per lo stadio e meno per i giocatori. Questo non significa essere più deboli finanziariamente, anzi. Nei 25 milioni investiti per gli acquisti (in realtà sono 27, ma non facciamo i pignoli), Conte non inserisce i soldi degli ingaggi per i parametri zero. Se ti puoi permettere una politica aggressiva sugli svincolati (Pirlo, Pogba, Llorente, 6 mesi fermo per aspettare la Juve), è in virtù di offerte di stipendi irraggiungibili per altri. Il Napoli non può permettersi calciatori con ingaggi da 3 milioni in panchina. E sono quelli che in una stagione lunga, non in una notte sola, fanno la differenza: in tutto ingaggi da 116 milioni in casa Juve e 74 a Napoli. La rrrosa. Il suo valore di mercato è di 353 milioni, quella del Napoli è stimata 259 milioni (fonte Transfermarkt).
Poi ci sarebbe da guardarle da vicino, le spese della Juve. Straordinaria nel mettere in campo tutta la sua potenza (economica, persuasiva, mediatica) per convincere un parametro zero a preferire Torino, qualche problema invece ce l’ha quando valuta i giocatori. Se con 20 milioni il Napoli ha comprato in estate Callejon e Mertens, autori dei due gol di ieri, ma soprattutto invidiatissime rivelazioni della serie A, con gli stessi soldi la Juve ha preso Ogbonna (13 milioni) e Giovinco (11 milioni), ricomprato dopo averlo lasciato al Parma e averlo visto lì esplodere, salvo lasciarlo intristire di nuovo a Vinovo. E’ quasi un’ovvietà ribadire che i cosiddetti 100 milioni spesi dal Napoli sono figli della cessione del capocannoniere dello scorso campionato. Conte abbia pazienza: l’estate prossima li avrà anche lui, se gli vendono Pogba. Ne sarà felice? Difficile: si è lamentato che gli vendevano Matri e Giaccherini. Tutto mentre il Napoli per autofinanziarsi si privava in due anni di Cavani e Lavezzi. Ma davvero vogliamo parlare di questo?
A dirla tutta, i conti erano sbagliati anche un anno fa. Fino a quel giorno la Juve di Andrea Agnelli aveva speso 210 milioni sul mercato e il Bayern 135. In quel lasso di tempo, il Napoli comprava Cavani con 17 milioni, la Juve spendeva il triplo per la collezione Quagliarella-Matri-Vucinic. A ritroso: il Bayern prendeva Gomez-Robben con 50 milioni, la Juve Diego e Melo.
Il budget, un anno fa, doveva spiegare la distanza dal Bayern. Quest’anno, su uno spunto di Capello, è parsa seria la favoletta che l’uscita con il Galatasaray sia dovuta al campionato “poco allenante”. Se ho capito bene significa: quando la Juve perde in Europa è colpa del Torino e del Parma. Peccato che siano “poco allenanti” pure la Bundesliga già artimeticamente del Bayern a marzo, la Ligue del Psg in fuga e nei quarti di Champions, il campionato greco stravinto dall’Olympiacos che per poco non faceva fuori il Manchester United. Conte si è indispettito con Capello, ma ieri sorrideva compiaciuto all’osservazione partita dallo studio Sky. Uno a Conte che dovrebbe dire? Se è poco allenante il campionato italiano, allora non andare a prenderti Ogbonna dal Torino, non togliere Giovinco al Parma. Lasciaglieli, così ti alleni meglio. “Per costruire i grattacieli – concluse un anno fa Conte dopo l’eliminazione con il Bayern – serve tempo, non secchiello e paletta”. Esatto. Serve tempo. Sia alla Juve per competere in Europa che al Napoli per essere alla sua altezza. E il tempo non si compra.
Il Ciuccio