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Why Naples cannot be called racist / Perché Napoli non può essere considerata razzista

Naples is racist. Oh, yeah. Suddenly, we discover we live in an intolerant and xenophobic city, a Naples even worse than we are prepared to admit. And for what reason? Balotelli’s tears during the football match Napoli-Milan, on Saturday night. The eminent newspaper Corriere della sera retraced the event. An important role was played by Felipe Melo, former Juventus player, now at Galatasaray. He tweeted: “What a pity seeing @finallymario whistled in Italian stadiums. It’s painful seeing him sad and in tears”. But the tears became viral and a political case when the sentence “Shame, #Napoli shame” appeared on the twitter account The Obama Diary, which Corriere della sera defines an almost official site close to the White House.

Panic. That very moment Naples became a racist city for the web. The Obama Diary had retweeted Mona Eltahawy, writer and public speaker on feminism, with an influential role on Twitter (more than 192,000 followers), where every day she leads an impressive great fight against racism. And when she found out about Balotelli’s tears, she believed they were caused by some racist chant, as too often happens in other Italian stadiums. But she should know the diversity of Naples. She should know its history. She should know our melting pot that comes from centuries and centuries of foreign domination. She should know that for many years large groups of American servicemen – many of them African American – have worked and lived in Naples with no problems of racial abuse. She should know how many immigrants live today in the city, Africans, Arabs, Americans, as our brothers. She should know the meaning of the song “Tammurriata Nera” and the meaning of the words “son of the war” in our city. And in football, Napoli’s players were never ordered to play behind closed doors as a punishment for their fans’ racially motivated misconduct. She should know that former Brazilian player Cané decided to stay and live in Naples at the end of his football career. She should know that before the match, Clarence Seedorf, trainer of AC Milan, declared that Naples is a city where he never experienced any racial abuse. Ever. She should know that Manchester City player Yaya Toure, said two years ago that after the Champions League defeat in Naples he was delighted to stay in the middle of San Paolo stadium to admire the wonderful people there. With no problem.

Facing the protests that have been going on for two days on Twitter, Mona Eltahawy seems in great embarrassment. She writes that in San Paolo a Confederate flag is sometimes flown by Napoli supporters. Another misunderstanding. In the San Paolo stadium that flag it isn’t a symbol in praise of slavery, but a statement of our southern origins. She should know that we are considered “the niggers of Italy”. She defends herself saying that she retweeted something from a Serie A account. But that account is not official. The final sensation is of a tweet posted with carelessness and with mighty and unpleasant results.

No one denies that black players face racist abuse in too many places in Italy. Not in Naples, that must be clear, that must be told. We expect Mona Eltahawy and The Obama Diary to tweet the real story of of Balotelli’s Neapolitan tears. We expect it without hurry but without pause, as Benitez would say. Not a Sunday goes by without Neapolitan people not being offended in Italian stadiums about their southern roots. Other Italians wish, with a sad and famous chant, Vesuvius to wash them away with lava. Does the world know? Is Mona Eltahawy interested? Il Napolista invites her to San Paolo to watch a football match together. Together we’ll say, no to racism.
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Napoli è razzista. Improvvisamente, abbiamo scoperto di vivere in una città intollerante e xenofoba, una Napoli persino peggiore di quanto siamo disposti ad ammettere. Il motivo? Le lacrime di Balotelli durante Napoli-Milan di sabato sera. L’autorevole Corriere della sera ha ricostruito l’episodio. Un ruolo importante lo ha giocato Felipe Melo, ex giocatore della Juventus, oggi al Galatasaray. Ha tweettato: “Che peccato vedere @finallymario fischiato negli stati italiani. È doloroso vederlo triste e in lacrime”. Le lacrime sono diventate virali e un caso politico quando la frase “Vergogna, #Napoli vergogna” è apparsa sull’account twitter The Obama Diary, che il Corriere della sera definisce un sito quasi ufficiale, vicino alla Casa Bianca.

Il panico. In quel momento, Napoli è diventata una città razzista per il web. The Obama Diary aveva ritweettato Mona Eltahawy, scrittrice e public speaker sul tema del femminismo, con un ruolo di primo piano su Twitter (più di 192mila followers). Quotidianamente conduce lì una grande lotta contro il razzismo. Quando ha saputo delle lacrime di Balotelli, ha creduto che fossero causate da qualche coro razzista, come di solito succede negli altri stadi italiani. Ma dovrebbe conoscere la diversità di Napoli. Dovrebbe conoscerne la storia. Dovrebbe conoscere il nostro melting pot che viene da secoli e secoli di dominazione straniera. Dovrebbe sapere che per molti anni tantissimi militari americani – molti di loro afro-americani – hanno lavorato e vissuto a Napoli, senza nessun problema di razzismo. Dovrebbe sapere quanti immigrati vivono oggi in città, africani, arabi, americani, come nostri fratelli. Dovrebbe conoscere il significato della canzone “Tammurriata nera” e delle parole “figlio della guerra” nella nostra città. Nel calcio, dovrebbe sapere che al Napoli non è mai stato chiuso lo stadio per razzismo. Dovrebbe sapere che l’ex calciatore brasiliano Cané ha scelto di vivere a Napoli alla fine della sua carriera. Dovrebbe sapere che prima della partita, Clarence Seedorf, allenatore del Milan, ha detto di non aver mai vissuto episodi di razzismo a Napoli. Mai.Dovrebbe sapere che Yaya Toure, calciatore del Manchester City, due anni fa raccontò di essersi trattenuto sul prato del San Paolo dopo la sconfitta in Champions League per ammirare la folla. Senza problemi.

Nel fronteggiare le proteste che vanno avanti da due giorni su Twitter, Mona Eltahawy sembra in grande imbarazzo. Scrive che al San Paolo una bandiera degli stati confederati del sud viene qualche volta sventolata dai tifosi. È un altro equivoco. Al San Paolo quella bandiera non è il simbolo dell’elogio della schiavitù, ma della rivendicazione delle nostre origini meridionali. Dovrebbe sapere come siamo considerati “i negri d’Italia”. Mona si è difesa dicendo di aver ritweettato qualcosa dall’account della Serie A. Ma non era l’account ufficiale. La sensazione finale è quella di un tweet spedito con superficialità, con gravi e spiacevoli conseguenze.

Nessuno nega che i calciatori neri siano costretti a fronteggiare offese razziste in troppi posti in Italia. Non a Napoli, sia chiaro, questo va detto. Aspettiamo che Mona Eltahawy and The Obama Diary possano twettare la vera storia delle lacrime napoletane di Balotelli. Lo attendiamo sin prisa pero sin pausa, come direbbe Benitez. Non c’è domenica in cui i napoletani non siano offesi negli stadi italiani per le loro origini. Gli altri italiani si augurano con un coro triste e famoso che il Vesuvio lavi i napoletani con il fuoco. Il mondo lo sa? Interessa qualcosa alla signora Mona Eltahawy? Il Napolista la invita al San Paolo per vedere una partita. No al razzismo, lo grideremo insieme.
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