Ci siamo. Pare che stia per arrivare il giorno più difficile per noi tifosi napoletani. No, non dico la partita con l’Arsenal. Dico l’esordio di Reveillere. Il primo calciatore nella storia del Napoli ad avere due accenti nel suo cognome. Due. E dove sono? Ci sono, anche se non li ho scritti. Non li ho scritti perché io sono ciuccio e li ho omessi. Ma è un errore. Nel cognome del calciatore che De Laurentiis ha chiamato Anto’, gli accenti ci vogliono. Vanno su due delle quattro “e”. Qui cominciano le difficoltà. Quali sono le “e” con l’accento, quali rimangono senza? Facendo uno sforzo di memoria, uno ci può pure arrivare. Le “e” che prendono l’accento sono quelle dispari. La prima e la terza. Come se poi bastasse. Bisogna pure ricordarsi che accenti sono: uno è grave, uno è acuto. Bisogna saperli scegliere. E meno male che non sono malattie, perché tra una grave e una acuta non saprei scegliere. Vuol dire che mi fisserò nella mente che la prima “e” prende l’accento di perché (acuto) e la terza “e” del cognome prende l’accento della terza persona del verbo essere (grave). Ora tiro il fiato e lo scrivo in maniera esatta. Réveillère. Fatto. Che soddisfazione. Che profumo di aria pulita che c’è nelle cose riuscite. Réveillère.
Ma c’è un ma. Perché per Réveillère mi preoccupo degli accenti e per gli altri calciatori no? Guardate che li sento i vostri pensieri, come sarebbe a dire: chi sono gli altri? Gli altri sono gli spagnoli, anzi gli ispanofoni. Dei loro accenti finora ce ne siamo fregati. Invece in spagnolo gli accenti sono un po’ dovunque, hanno regole severe e vanno scritti. Higuain, per esempio. Come tutte le parole che finiscono con la “n” prende l’accento sull’ultima sillaba. Ce l’ha scritto pure sulla maglia. E allora: Higuaìn. No. Sbagliato pure stavolta. L’accento è acuto, gira dall’altra parte. Si scrive: Higuaín. Lo fanno apposta, quell’accento sulle nostre tastiere non c’è. Va cercato nei simboli. Oppure il nome va copia-incollato da una pagina web che lo abbia scritto nel modo giusto. Così va pure per Callejón e per il suo nome José. La stessa i accentata la prende Benítez, che per non farsi mancare niente ha l’accento pure nel nome Rafaél, ma qui ce la possiamo cavare con Rafa. Quando pure abbiamo messo a posto tutti i tasselli al posto giusto, arriva Zuniga e ci spiazza. Pure con gli accenti fa la doppia finta. Lo abbiamo comprato che tutti lo chiamavano Zunìga, accento sulla “i”, strada facendo scopriamo che l’accento va sulla “u”, acuto, e la “enne” vuole la tilde: Zúñiga.
Un agguato dietro l’altro. E’ il Napoli più impegnativo della storia. Per noi. Noi che Sofia non l’abbiamo mai chiamata Lòren, ma Lorèn. Noi che facciamo ricerche su Internèt. Noi che abbiamo sfidato l’Intèr e il Milàn. Noi che sbagliamo gli accenti sapendo di sbagliarli e che, dunque, per quel fenomeno chiamato dai linguisti ipercorrettismo continuiamo a sbagliarli quando vorremmo correggerci. Pensate alla fermata della metropolitana che viene dopo Montesanto, quella dedicata a Camillo Benso conte di…? Esatto. Càvour. Perché noi napoletani, consapevoli di sbagliare con la Lorèn, quando c’è il conte di mezzo, per non fare brutta figura con lui, l’accento lo anticipiamo. E ci caschiamo di nuovo.
Allo stadio, diciamo la verità, ci abbiamo preso poche volte. A cominciare da Garbùtt, l’allenatore degli anni Trenta, il mistèr. Poi è arrivato Jeppsòn e abbiamo proseguito senza imbarazzo con Gastone Beàn. Burgnich con noi è diventato Burgnìch, ma in questo caso io mi sono sempre auto-assolto pensando al Martellini di Italia-Germania che pronunciava il suo cognome con la “c” dura finale: Burgnik. Ramòn era Diàz. L’accento sulla “a”. Come il maresciallo. Hamrin che aveva l’accento piano diventava Hamrìn, ma Husaín è stato spesso Hùsain. Del resto Marek per molti di noi è Hamsìk, che se non altro richiama la commedia di Eduardo, l’artefice magico. Giuro di aver sentito dire Tèsser e Maràngon, Bòrdin e Boghòssian, Spèggiorin e Vìdigal. Ogni tanto il cielo ci ha regalato un poco di pace e giocatori con una vocale sola. Zoff, Flick, Cruz, Krol. Là non si poteva sbagliare. Per fortuna non abbiamo mai comprato Causio, sennò ci saremmo persi dietro il tormento di Gino Rancati da Torino: si dirà Caùsio? Sarà stato per una sorta di adeguamento a noi, oppure per non mortificarci, che Claudio Ranieri chiamava il presidente Ferlàino, con l’accento sulla “a”.
Rassegnarsi, allora. Réveillère, eccolo qua. Io già lo so che sbaglierò. Io già lo so che a volte preferirò scriverlo senza accenti. Mannaggia alla crescita, alla dimensione internazionale e alla Champions League. Almeno con Pià e Calaiò non c’erano equivoci.
Il Ciuccio