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Walter e Rafa: il pistolero di Sergio Leone e il borghese consapevole di Lelouch

Uno veniva dal niente, dagli angoli del calcio su cui non batte il sole. La provincia, i campi di polvere e terra, lo scaldabagno che negli spogliatoi fino all’ultimo non sai mai se funziona. L’altro arriva dai giardini dell’impero, dal calcio che vive nel mito di sé. La Casa Blanca, la squadra-nazione, lo stadio che ruggisce e spaventa. Guardate come si muovono, ogni uomo è il passo con cui cammina. Mazzarri è il pistolero che ha sempre un mezzogiorno di fuoco verso cui viaggiare, le cosce a bancarella, lo sguardo torvo, quasi sempre basso. Si porta dentro il West e la katana. Viene dai film di Leone e Tarantino. Benitez è il professore che entra in aula e va dritto alla lavagna, meglio se multimediale, l’ansia trattenuta, il sorriso consapevole. Ciondola con la malinconia del suo ginocchio sghembo. Spunta dalla normalità borghese di un Lelouch. Mazzarri è l’uomo furioso al quale affideresti la protezione di tuo figlio in caso di un attacco alieno, Benitez è quello serafico a cui daresti in mano la valigetta coi codici della guerra termonucleare, affinché nessuno la scateni mai.

Eccoli, Walter e Rafa. Domenica sera uno di fronte all’altro. Due allenatori che dei loro moduli tattici preferiti hanno finito per fare un’etichetta. Non fatevi sentire da Mazzarri quando attribuirete ad altri la paternità della difesa a tre. Il 3-5-2 che nel cuor gli sta e la sua variante napoletana 3-4-2-1 sono maniere di stare in campo che avverte talmente come sue da sentirsene l’inventore. Mentre Benitez si sente un discendente di Sacchi: il suo 4-2-3-1 altro non è che l’upgrade globale di quel 4-4-2 che i teorici del calcio giudicano il modulo con cui meglio si copre il campo. Walter rivendica una sua rabbiosa unicità tattica, Benitez afferma la validità di un valore universale. Uno chiede a un presunto copyright la patente di autorevolezza, l’altro la vive con l’atteggiamento di chi ha passeggiato solo tra le sale dei trofei. Il primo gioca un calcio introverso, schivo, piegato su stesso per la necessità di spalancare davanti a sé gli spazi dentro i quali lanciarsi. Un calcio che esibisce tutta la sua saliva, che ha bisogno di una giugulare gonfia per vivere. Sfibra, decompone, prosciuga. Il calcio che succhia la vita a chi lo gioca e a chi lo guarda. Fiacca, agita, strema. Quello di Benitez è un calcio ecologico, solidale, cerca energie che siano compatibili con l’ambiente. Sfoggia pazienza e placidità, abbassa le sue pulsazioni quando ne scopre il bisogno. Un calcio che culla, seda, predica serenità e serenità esige da chi assiste. Un calcio esigente, più cultura che natura, logora e rende fragile se non lo hai studiato prima.

L’iconografia di Mazzarri è fatta di giacche tolte e orologi picchiati con le dita. Rafa invece è la penna che scivola su un taccuino, la pezzuolina gialla che pulisce gli occhiali. Tutti e due vengono da un passato da centrocampisti, una nomea di grande promessa. Walter allena come se non si fosse mai tolto di dosso il rimpianto di aver tradito un’attesa da nuovo Antognoni. Rafa sta in campo alla maniera di chi vuole trasferire sugli altri il sapere accumulato nelle troppe partite che l’infortunio giovanile gli ha impedito di giocare. Eppure, entrambi sono finiti dentro un equivoco. Le notti di Champions trasformarono l’ideologia neoitalianista di Mazzarri in un offensivismo che in realtà non c’era, così come adesso a Benitez capita di sentirsi dare dell’integralista, lui che è sempre stato attento soprattutto alla fase difensiva. Solo che se a Walter davi del Rinus Michels gli si allargava il cuore, se a Rafa gli dici che sta giocando all’olandese finisce che magari si offende.

Walter aveva la proiezione della sua furia in Lavezzi, un guastatore, scapigliato creatore di pericoli dal nulla e dissipatore sconsiderato di lavoro altrui. Rafa specchia le sue idee in Callejon, va bene che fai gol con un sombrero, va bene che fai gol con un destro incrociato al volo, ma adesso svegliati ragazzo e rincorrimi quel terzino che attacca. Uomo di mare, Mazzarri. Non dovrebbe avere altri limiti negli occhi eccetto l’orizzonte. Ma gli è mancato il coraggio di andare al largo. Aveva le vele al vento e si è fermato a guardare gli scogli a riva. Uomo da capitale, Benitez. Nato in quella di Spagna, ha lavorato in quella della musica (Liverpool), quella della moda (Milano), quella della finanza (Londra). Vuole farci capitale di qualcosa, in provincia non c’è stato mai. Ogni calcio ha un suo tempo. Siamo passati da un uomo che ci ha rilanciato sentendosi un cow-boy da ranch a un altro che vuole farci sfidare la legge di gravità, vuole insegnarci a passeggiare nello spazio. E noi dobbiamo dire grazie a entrambi.
Il Ciuccio

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