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Perché il tifo ormai è solo contro qualcuno?

E’ solo da qualche ora che i miei puntuali dolori di stomaco, che mi colpiscono ad ogni sconfitta o pareggio del Napoli, si stanno attenuando, eppure il mio stato d’animo continua a essere tormentato e non solo perché incessantemente mi chiedo come abbia fatto Pandev a sbagliare quella palla, convinto che se entrava, avremmo visto un’altra partita con un altro risultato, anche se nel calcio non c’è mai la contro-prova.
Ma i miei tormenti riguardano anche questioni legate al tifo, suggestionato non solo da quello che è successo a Roma, ma anche dalla discussione che si sta sviluppando in queste ore e alla luce del dibattito seguito al tema delle discriminazioni territoriali e alla decisione presa sulla riapertura di S.Siro.
E vorrei provare a farlo da un altro punto di vista ponendo una domanda non prima, però, di fare due premesse onde evitare interpretazioni forzate.
La prima è che l’indignazione di Marcello Giannatiempo è la mia ed è quella dei tifosi perbene che da anni fanno sacrifici in termini economici privandosi di affetti e famiglia per seguire e assecondare la propria malattia e che si trovano ad affrontare situazioni come quella descritte nel pezzo di Marcello.
E pur tuttavia inizio a pensare che il problema non riguardi più particolari tifoserie ma che sia, purtroppo, un tema generalizzato e che, a campi invertiti, poteva succedere la stessa cosa con la differenza che al S.Paolo le bombe, le bottiglie o i bengala non avrebbero raggiunto la tifoseria avversaria perché difesi dalla rete che avvolge il settore ospiti.
Ora non vorrei cadere, e qui veniamo alla seconda premessa, in un sociologismo spicciolo ma il fatto che gli stadi diventino sempre più zone franche da leggi e livelli di civiltà non significa che siano luoghi avulsi dalla società in cui viviamo.
Lo stadio, cosi come tutti i luoghi di aggregazioni, sono il fedele specchio della nostra società e viceversa in positivo e in negativo.
Viviamo in un modello di società dove la sopraffazione la fa da padrone, dove si tende a considerare chi non rispetta leggi e regolamenti, fiscali o penali che siano, una vittima e magari, se è potente, rivendica il diritto di non essere giudicato , dove ormai vige una forma di “darwinismo sociale” dove il forte diventa sempre più forte a discapito del debole che diventa sempre più debole.
Orbene, tutto questo brodo di coltura lo ritroviamo negli stadi e diventa naturale che i modelli e i codici comportamentali imposti dai gruppi organizzati degli ultrà possono diventare egemoni e fare tendenza, rafforzati e legittimati anche da decisioni come quelle sul tema delle discriminazioni territoriali assunte dal governo del calcio.
Come ho premesso non vorrei rischiare di fare sociologismo spicciolo, ma quello che a me ha colpito più di tutto a Roma è il fatto che ormai il “tifo contro”, con slogan e canzoni cruente, è l’unico tratto distintivo anche per noi napoletani e all’Olimpico non c’erano i gruppi ultrà che , com’è noto, da quando è stata introdotta la tessera del tifoso, per il loro rifiuto a sottoscriverla non fanno trasferte.
E’ questo ormai un tratto distintivo di tutte le tifoserie che, come dice il mio amico Minao, rappresenta la “globalizzazione del tifo” .
E qui vorrei porre un quesito da un angolazione del tutto diversa da quella fin qui affrontata e superando , per un attimo, le questioni etiche, civili etc.. e cioè : ma siamo sicuri che il “tifo contro” aiuti la nostra squadra e non faccia il gioco dell’avversario?
A me il dubbio mi è venuto proprio venerdì sera, e non perché sono un romantico che rimpiange il “Napoli cià cià cià” o lo stile goliardico sì, ma non violento, di “Giulietta è na’ zoccola”.
Perché chi è malato della propria squadra va allo stadio e in trasferta? Per lo spettacolo? Vero, ma fino a un certo punto, perché questo potremmo dirlo per il mitico settennato o anche ora, ma non certamente per gli anni della C.
Eppure, senza voler ricadere nella retorica di Gela – anche perché io a Gela non c’ero ma ero a Pesaro, Chieti a Padova con il Cittadella etc. – non andavo allo stadio certo per lo spettacolo, ma per far sentire la mia voce, per dare la carica e la giusta adrenalina ai ragazzi , per portare in porto il risultato utile. Ma questo riesci a farlo se per 90 minuti anziché inneggiare ai tuoi colori e ai tuoi giocatori, ti rivolgi solo alle tifoserie avversarie, a prescindere se i cori siano bellicosi o meno?
All’Olimpico, e sfido chiunque a smentirmi, per l’intera partita abbiamo sentito solo “noi odiamo la capitale, bruciamo la capitale , o romanista tua madre è***e tuo figlio un coniglio” o al massimo il tormentone molto in voga nei gruppi organizzati “in un mondo che non ci vuole più canterò di più..”, anche il tradizionale “dai ragazzi non mollate” è partito per una sola volta subito rimpiazzato dopo poche battute ritmate.
Tutto questo al netto del tributo al DD, Dio-Diego , e vorrei vedere!!
A me viene il dubbio che qualche nostro giocatore, anche se non l’ammetterà mai neanche sotto tortura, potrà pure pensare “ ma come io mi sto dannando l’anima per recuperare la partita e questi pensano a insultare e sfottere i tifosi avversari anziché sostenere noi?…”.. Sarà un caso se veniamo elogiati anche dagli stessi giocatori, quando ci esercitiamo nel “Tifo Per” dalle coreografie, alle canzoncine, agli slogan.
Siamo sicuri che il “tifo contro” aiuti la squadra?
A me piacerebbe che questa domanda, questo dubbio, possa essere oggetto di una riflessione da parte di tutti i tifosi ma, soprattutto, da parte delle curve e del tifo organizzato che ha scelto di sposare la causa del “tifo contro” sempre e comunque anziché il “tifo per”.
Mi piacerebbe che si aprisse una riflessione nel tifo organizzato non dal punto di vista etico o moralista, ma proprio dal punto di vista dell’utilità per la squadra e dell’amore per questi colori e per questa maglia.
Mi piacerebbe che si realizzasse un sogno che coltivo e che è quello di assistere alla nascita di un M.F.A.(movimento das forcas armadas) all’interno di tutti i gruppi ultrà e che coinvolga tutti i settori del tifo.
Il MFA fu il movimento formato da ufficiali dell’esercito Portoghese che nel 1974 mise fine alla dittatura militare di Salazar.
Furono proprio i militari ad organizzarsi e a ribellarsi a Salazar che li aveva utilizzati per anni per imporre una dittatura e quando quest’ultimi pianificarono la rivolta, occupando le città per liberarle da quella parte di militari fedeli al regime, la popolazione solidarizzò con loro trovando la forza di unirsi alla pacifica rivoluzione e simbolicamente lanciò garofani nell’accoglierli, liberando il Portogallo dal regime, senza alcun spargimento di sangue e che verrà ricordata e denominata dalla storia come la “rivoluzione dei garofani”.
Ecco, il mio sogno è che, ai primi cori di “discriminazioni territoriali” o ai primi beceri insulti “contro le tifoserie avversarie”, pezzi del mondo ultrà si organizzino per ribellarsi ad un codice comportamentale e liberino le curve da tale ipoteca e che il resto dei tifosi lancino garofani, magari di colore azzurro, per festeggiare il riscatto degli stadi da determinati codici ripristinando quel gioioso tifo PER e non CONTRO di cui proprio i napoletani sono stati per molti anni un esempio ammirato e apprezzato in tutti gli stadi.
Sogno? utopia? Lo so, ma come dice un bellissimo aforisma: “ ..se si sogna da soli è solo un’utopia ma se si sogna insieme è l’utopia che diventa realtà…”
Peppe Napolitano

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