Meno male che a Napoli almeno la disgrazia del derby ce la siamo evitata

Un guaio, noi napoletani, almeno uno, ce lo siamo evitato. Le due squadre cittadine. Sì, lo so che quando vince la Juventus qualche tracco esplode sui quartieri (che ci volete fare? E’ gente che soffre). E conosco perfino tre napoletani romanisti, uno dei quali è il mio amico ed ex compagno di scuola al Genovesi […]

Un guaio, noi napoletani, almeno uno, ce lo siamo evitato. Le due squadre cittadine. Sì, lo so che quando vince la Juventus qualche tracco esplode sui quartieri (che ci volete fare? E’ gente che soffre). E conosco perfino tre napoletani romanisti, uno dei quali è il mio amico ed ex compagno di scuola al Genovesi Claudio Velardi. Ma poniamo che negli anni ’60 la volata dell’Internapoli (noi anziani ricordiamo) non si fosse fermata a un exploit di un paio d’anni. Oggi come staremmo? Come stanno i romani. Che fosso che abbiamo scansato…
Domenica mattina, nonostante l’Angelus papale, le elezioni e tutto quel che volete, la città taceva. Letteralmente, tratteneva il fiato. Niente capannelli alle edicole col Messaggero e il Corriere dello sport in mano. Niente chiacchiere libere di pallone, come ce ne sono sempre. Il silenzio era quello dei passeri prima del temporale.
Qualche bandiera ai balconi. Ma solo gli esibizionisti si fanno avanti. Il grosso dei “due popoli” era rintanato. Uno dei miei figli, romanista (come padre, ho fallito: sono tutti e tre romanisti), mi manda un sms: “Fammi il favore fino a stasera non parliamoci. Non sono in grado”. Ma dove la vedi? chiedo. “A casa mia, con i miei amici. Ma ci stiamo cacando addosso”.
La mia migliore amica, Pina Baglioni, autrice di un pezzo qui sul Napolista e ultrà laziale, è fuggita in campagna: “Non la vedo. Non ce la faccio. Se vincono, per noi è la fine”. Ha ragione: oggi è chiaro a tutti che questa partita ha segnato un’inversione di tendenza nei rapporti di forza tra i due mondi. “Un macchia che nun se cancellerà mai” ha detto Marione Corsi, un leader “talebano” della radiofonia romanista. Ma se avessero vinto loro, ai laziali sarebbe toccata la clandestinità. Quindi era partita spartiacque.
E perfino loro, le radio-tifo in questa domenica mattina erano caute, incazzate, con i nervi che s’intrecciavano ai capelli. Più arroganti e sicure quelle giallorosse. Ironiche e avvelenate, quelle laziali. Con i toni della minoranza perseguitata. E sì perché dovete sapere che quelle due tifoserie non si equivalgono.
I romanisti sono di più e – non ci si sbaglia – hanno più potere in città. Più opinione, più “intellighenzia”. Sono sprezzanti. Sarà per questo che ho sempre simpatizzato Lazio. In realtà per un altro motivo: 34 anni fa, andavo allo stadio da semplice cittadino. Dai laziali prendevo meno insulti e meno sputi. Hanno passato quasi più guai di noi. Hanno la nostra stessa insicurezza, la nostra paura di perdere. Anche se ovviamente nel loro tifo ci sono frange di delinquenti niente male. Ma qui parliamo di gente normale.
E dopo?
Dopo non è finita. Siamo a mercoledì fine mattinata mentre scrivo. Le radio romaniste continuano il processo di Norimberga per mettere “a morte” Sabatini e Baldini, “cavallo di Troia” dentro la Roma, accusati di essere… “laziali”. Quella biancoazzurre continuano a cantare vittoria e usare i social network per bullare gli altri. I giornali, prevalentemente giallorossi, provano a salvare il “capitano” dal disastro. Il capitano a sua volta rilascia un’intervista in cui alla domanda “Cos’è la Lazio?” risponde: “Nulla”. Si direbbe qui: je rode ancora.
E il laziale non si ferma. Gode. Ad ogni cliente romanista, contro ogni cautela commerciale, fornai e salumeri riservano un affettuoso: “T’è passata?”. “Te fa ancora male?” intendendo una certa parte del corpo umano.
Ora, al di là del colore, tutto questo mi ha sempre spaventato. Perché è lo specchio di quanto siamo capaci di odiare l’altro. Perché, vedete, non è solo lo sfottò, l’ironia. E’ il fiorire della discriminazione del più violento “hate speech”, odio verbale – “Meglio un figlio frocio che laziale” (con due offese in una sola frase). Significa selezionare gli esercenti, i ristoranti, i medici (!) secondo la fede sportiva – “Vado dal mio dentista, nun è gran che, ma è laziale. La ‘Lazialità’ è importante” mi diceva anni fa un collega giornalista (sportivo).
Un Libano simbolico, un muro di Berlino mentale dentro una città peraltro civile, paciosa, “democristiana” nel senso che preferisce poi accontentare tutti piuttosto che avere conflitto.
Ma nel calcio no. Sul pallone si odiano. E non è un odio sportivo. Insultano i loro morti, ne violentano la memoria: “Gabriele Sandri, uno di meno”.
Ora una domanda: “Voi pensate che noi ci saremmo comportati diversamente?”. Secondo me, avremmo fatto pure peggio, gonfi di rabbia e di risentimento come siamo. Il Padreterno, almeno un guaio ce l’ho evitato: la doppia squadra in città. Forza Napoli.

Vittorio Zambardino

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