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De Laurentiis, con Benitez il “metodo Mazzarri” non basterà

De Laurentiis, con Benitez il “metodo Mazzarri” non basterà

E quindi ci risiamo, Presidente? Ricomincia lo “sparpètuo di cazzìmma”, l’agonia delle piccole furbizie, dei minuetti comunicativi, dico una cosa e poi dico che hai capito male, metto in fuori gioco “quello là” così quello perde la calma, prima dico che il futuro è nero o perlomeno grigio, poi  sparo che vinciamo lo scudetto, tanto se è nera sono problemi dell’allenatore e se vinciamo lo scudetto, uguale, così sono coperto se NON lo vinciamo. Ma non usiamo il dialetto, ci leggono anche fuori Napoli (perciò mettiamo gli accenti): Presidente, diciamo che lei ha fatto ripartire la “Sindrome Mazzarri”.

Per carità, la sua comunicazione pubblica è tutta uno splendido enigmatico minuetto. La figura più notevole degli ultimi tempi essendo prima l’ostentatissima alleanza con “Andrea” (e quindi a sostegno di Albertini per la presidenza Federcalcio) e poi il cambio di campo  e l’appoggio a Tavecchio  – e speriamo che non le costi caro, assai caro, questo cambio di campo, perché costerebbe caro al Napoli. 

Ora, che lei si diverta a farci venire il mal di testa, a dimostrarci ogni giorno che siamo sprovveduti, lo si capisce da quel sorrisino furbacchione che fa quando parla in pubblico. Però, le cose adesso stanno un po’ cambiando, perché anche il miglior schema di gioco, pian piano, diventa conosciuto. I napoletani dicono “sei carta conosciuta”, per esprimere questo sentimento. Vediamo di cosa si tratta.

Lei prima dice, qualche tempo fa, in piazza del Gesù e durante la festa di Repubblica, che noi tifosi dobbiamo stare calmi e che ricchi non siamo. E qui lei ricorre al repertorio classico, al suo tema più amato, il suo signorile “lasciatemi lavorare, incompetenti”. Passa qualche settimana e a Dimaro dice che vinceremo lo scudetto, lo dice a pochi passi da Gargano che sgambetta, da Vargas che cammina con la sua mazza di scopa nella schiena, ma lontano da Fellaini che non si sa se mai verrà e da tanti altri bravi giocatori, ingaggiati da diretti concorrenti per cifre non poi così stellari.

Rafa Benitez, che proprio non è nato ieri, prima le dà ragione, poi a distanza di ventiquattro ore ingrana una retromarcia che ancora si vedono le strisce nere che ha lasciato per terra, e fa il ragionamento che tutti sappiamo, e cioè che vediamo, proviamo e puntiamo in alto. Ma parla di budget, di limiti nostri e punti di forza degli altri, e sopratutto, qualche tempo prima, aveva specificato che di “futuro” non era il momento di parlare. 

In seguito, poche ore fa, quella margherita di prato di Behrami viene ripescato da una radio di “establishment” e parla a tutto campo, spiegandoci che secondo lui l’allenatore non capisce niente né di come si trattano gli atleti né di questioni tattiche. Ottimo colpo professionale, congratulazioni ai colleghi. Ma forse non di soli sassolini dalle scarpe si tratta.

Allora, sa cosa, presidente? Noi, notoriamente paranoici, le diciamo come la vediamo.

Rafa Benitez le ha fatto capire che a giugno 2015 lui non sarà più l’allenatore del Napoli, e lasciamo perdere adesso le cause di questa decisione, se abbia davanti prospettive migliori, se sia stufo della “cattività napoletana” dove si combatte per l’acqua calda o se sia convinto che con lei, presidente, non si va lontano. Non importa. 

Il “fatto” è questo, presidente: lei oggi, estate 2014, sa già, che Benitez se ne andrà. O perlomeno lo ha perfettamente capito. Come sapeva o aveva capito cosa avrebbe fatto Mazzarri già da prima di quel sofferto, ultimo campionato, portato a termine bene (secondo posto) ma con le budella in mano.

Essendo questi i dati, lei mette in scena lo “sparpetuo di cazzimma”, la sarabanda delle punture di spillo, la tattica del fuori gioco (“vinciamo lo scudetto”). Quel che è peggio è che, se le cose stanno come abbiamo capito, lei andrà avanti per mesi in questo modo, proprio come fece con Mazzarri, dove la piccola provocazione non necessariamente dovrà venire da lei, non ce ne sarà bisogno. Rafa è così mal voluto dai giornalisti napoletani e non solo da quelli (“sindrome Giuseppone a Mare”) che non mancherà chi si prenderà il compito di “cuocerlo” come si deve. E avanti così, fino a che l’interlocutore non crolla. Fino a che non diventa lui il responsabile della rottura, il traditore, quello che ha mollato. 

Furbissimo e bravissimo, presidente, e non è ironia, lei è un uomo brillante, uno che conosce le budella della vita, la carne e il sangue di cui sono fatte le relazioni umane e noi non siamo improvvisamente diventati “cacciasordisti” e “papponisti”, i suoi meriti li conosciamo e non c’è bisogno di ripeterli come un rosario – ma resta il tormento, la “piccolezza” umana e l’incoerenza di stagioni spese così, un modo di fare che nell’epoca del calcio parlato 24 ore al giorno sette giorni alla settimana, dove interlocutori non amici spaccano il capello in 64 parti, contribuisce, ce ne fosse bisogno, a peggiorare l’immagine del club come di una nave diretta da un capitano bravo ma, diciamo così, eclettico. 

Ma soprattutto, ciò che rattrista è che mentre altri fanno i loro giochi veri e duri a livello nazionale, mentre le proprietà si consolidano con nuovi soci importanti, mentre altri gettano basi tecniche che si vedranno nel futuro, mentre tanti si pongono il problema di come uscire dal vicolo cieco e storto in cui è finito il calcio italiano, lei si dedica a questo gioco opaco, noioso e triste. 

Non le diremo che è carta conosciuta, Presidente, lei ha molte risorse che di certo non conosciamo. Le segnaliamo però che quando il gioco si fa duro, per esempio ai sorteggi di Champions, le carte del Napoli sono basse. Bassissime.
Vittorio Zambardino

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