Caro Massimiliano, facevo due pensieri nell’insonnia di stanotte, che mi spingono ad uscire dal mio silenzio.
Uso il “noi” Napolista, anche se lo sanno tutti che il Napolista sei tu, ed è tutto tuo il merito di questo prodotto così unico, ma lo faccio perché ho sempre al fondo condiviso le tue scelte. Hai vissuto, tu per primo, giorni terribili e ti va riconosciuta la freddezza e la saldezza di nervi con la quale sei andato avanti.
E mi dicevo stanotte, adesso che cosa succede? Da questa zona serena dove siamo approdati dopo Firenze, dove andremo? Aspettiamo la prossima tempesta o ce ne andiamo per sempre da questo mare inquinato di parole nere?
Quello che faranno gli altri lo sappiamo. C’è chi aspetta la prossima sconfitta, gli effetti degli infortuni, magari la perdita (sciò! Arrassusìa!) della per ora disprezzata supercoppa o la prossima tempesta nei social network per ricominciare il giro. Ma poi al Napolista interessa questo bar sport incapace di godere, dove un terzo posto è vissuto come una “cosa scontata”? La mia risposta è no. Andiamo via da qui, Max, salpiamo con la testa e con la penna.
Ma è stato brutto, dover attraversare il mare degli insulti di unaopinione pubblica che non sa distinguere fra passione e lucidità, fra novanta minuti di partita (accecati di amore e rabbia, quelli sì) e il dopo che chiede riflessione. Per settimane si è assistito alla manipolazione dall’alto (ripeto: manipolazione dall’alto) del voglio tutto, del voglio vincere, del non voglio sapere niente della realtà, quello che ho non basta, dammi di più, padre ingordo e ladro. Ci vorrebbe uno bravo per curare queste cose e non sono io. Ma in termini politici e sociologici quello che è successo nelle scorse settimane insegna più di mille dibattiti sull’immagine di Napoli e sulla sua plebeizzazione integrale (processo che io credo nazionale).
Max, andiamocene da questo mare inquinato, dove, lo sappiamo, ci sono gli interessi e gli interessati a rovesciare non solo l’allenatore ma anche gli equilibri imprenditoriali del Napoli. Programma legittimo se si ha una proposta chiara e chiaramente illustrata, perfino interessante, ma inquietante se chiarezza non c’è. E per essere più chiaro su come la penso, dico che per un Napoli posseduto non più alle Scuderie del Quirinale ma a Dubai o in qualche altro paradiso finanziario io non faccio il tifo. Perché c’è un limite ad ogni emozione. E la finanza degli Emirati, la sua provenienza, le sue pratiche, i suoi personaggi fanno parte dei limiti che do alla mia passione.
Eppure, va detto: quelli del Napoli, Rafa in testa, gente con la quale nessuno di noi (tantomeno tu) ha mai preso il caffè nella tempesta e nella difficoltà ha dimostrato nervi freddi e chiarezza di idee. Perché a dire che bisogna spendere un miliardo e fare i miracoli sono buoni tutti, ma i manager veri sono quelli che gestiscono al meglio le situazioni difficili nelle condizioni date. Si chiama responsabilità professionale, incomprensibile per l’etica ultrà, anche quando abita in collina e scrive sui giornali.
La guerra ha messo in luce anche quanto sia vecchia la cultura professionale dei media di questa città. Come sia “plebea”, corriva, forse involontariamente complice di disegni che nemmeno capisce – almeno lo spero. Sempre irresponsabile. E il punto è chiaro: sono venute meno le vecchie pratiche del calcio patriarcale e c’è chi proprio non ne capisce più niente, soprattutto se ha di fronte un uomo che non usa più gli armamentari vecchi della tattica anni ’70 e la cultura del Processo del Lunedì (la guerra personale, feroce, fatta a Benitez ha avuto punte di ineticità professionale uniche, una cosa vergognosa). Il resto lo fa l’idea, diffusa in tutti i giornali italiani, che aderire come un guanto ai peggiori istinti del pubblico aiuti a uscire dalla crisi.
Questa sfasatura tra media e tecnica mi fa pensare agli ’80: si può aver amato o odiato Arrigo Sacchi, io lo detestavo, ma lui ha cambiato il calcio italiano. I giornalisti italiani hanno impiegato direi una decina d’anni a capirlo. Poi è diventato vecchio lui, il povero Arrigo, che ormai ripete sempre e solo la favola del suo successo e su Benitez ha detto fregnacce immonde.
E quindi che facciamo, Max? Basta farsi dettare l’agenda dai Papponisti, da quelli che odiano Bigon da prima che nascesse, da chi si fa dettare la linea da Facebook. Io oggi, ma proprio da tifoso del Napoli, vorrei sapere come Rafa lavorerà sulla mancanza di Insigne. Vorrei poter confrontare con lui la mia idea, che poi è in tutta onestà di Mario Sconcerti, che Rafa stesse lavorando su Lorenzo per affidargli una parte del lavoro e dei compiti che Marek Hamsik (altro tema di inchiesta trascurato) ormai non svolge più. Mi piacerebbe sentire le confessioni più profonde dello slovacco, per sapere perché è così frastornato. Ma tu mi risponderai che avresti bisogno di una redazione per farlo e io al momento non ho i soldi per pagartela (mi sarebbe piaciuto fare l’editore in proprio ma a soldi sono sfasolato). Quello che tanti nostri colleghi non capiscono è che non basta descrivere impressioni attigendo qua e là, ma che anche nel giornalismo sportivo esistono i fatti. Certo sono difficili da trovare. Lo so. Potresti analizzare come Benitez sia, con altri due tecnici, forse, il poco di moderno che c’è nel nostro campionato – altro che non “capire il calcio italiano”.
Forse il Napolista potrebbe anche provare a lavorare su una idea che è tua. Hai scritto a caldo che Rafa è il punto di unione tra Eduardo e De Simone, riferendoti a un dibattito in corso dopo un magistrale pezzo del maestro di La Gatta Cenerentola. Vedi, io odio l’abitudine napoletana per il dibattito interminabile, che porta nel nulla o serve solo per difendere i Tabù e distruggere il dissenso. È quello che sta accadendo al povero De Simone (ma lode al Mattino per averne promosso uno bello e finalmente significativo, di dibattito). Io credo che noi potremmo provare a volare alto. Max, lo so, dovrei dirti che cosa fare, una volta tenuta questa predica. Ci penserò. Ma sai, ho notato una cosa in queste settimane, che molti, magari perché sono giovani non sanno niente del passato. Bisognerebbe raccontargli di soldi e gestioni economiche del passato. Io, che sono un provocatore, andrei dall’ingegner Ferlaino a chiedergli come funzionavano i bilanci del Napoli ai tempi suoi. Non te lo dirà? Lo so, però si può raccontare.
Con affetto, il tuo napolista esterno (come il “concorso”),
Vittorio Zambardino