Genoa-Napoli, 11 novembre 2012: segnatevi questa data. Gli azzurri vincono una partita con la panchina, non succedeva da anni. Entra Insigne: assist e goal. Entra Mesto: goal e assist. Entra Inler: i suoi venti minuti in campo sono quelli della rimonta e della vittoria.
A Mazzarri si rimprovera da sempre di non saper leggere le partite e di essere monocorde nelle scelte. Questa volta ha cambiato registro: ha rinunciato alla mossa “classica” della terza punta (anche perché, da Russotto in poi, non è mai servito a molto infoltire l’attacco), preferendo cambiare volto alla mediana e alla fascia destra. Ed è stata una mossa vincente.
Ma i segnali positivi non finiscono qui. Sono anni che malediciamo la panchina corta, i titolarissimi, le partite che o le vincono gli undici iniziali o non c’è niente da fare. Abbiamo invidiato la Juve che ci ha battuto con due (Caceres e Pogba) subentrati a partita in corso.
Ecco, forse ora anche noi cominciamo a vedere la rosa ispessirsi. Con Insigne che cresce, Mesto che entra nei meccanismi, Dossena che riprende confidenza con la disciplina sportiva del calcio, un centrocampo dove ci permettiamo il lusso di tenere seduti i 18 milioni di Inler, abbiamo più scelte. E, se la formazione iniziale non funziona, può essere un panchinaro a raddrizzare la situazione.
O forse è un caso. Gli scettici diranno che è così. Allora, nel dubbio, godiamoci questa vittoria venuta dalla panchina. L’ultimo risultato utile che ricorda (fu solo un pari) acciuffato coi rincalzi è Napoli-Milan del 2009: sotto di due goal al novantesimo minuto, pareggiammo con Cigarini e Denis, entrati nel secondo tempo. Sono passati tre anni e un mese. Possiamo essere lieti anche solo per questo.
Roberto Procaccini