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Il pm Mancuso: «Fischiare l’inno vuol dire dare ragione a chi dice “Benvenuti in Italia”»

Paolo Mancuso, procuratore della Repubblica a Nola, tifoso storico del Napoli, un posto all’Olimpico circondato dagli juventini per la finale di Coppa Italia.
Li ha sentiti i fischi?
«Certo».

Cos’ha provato?
«Incredulità, all’inizio».

Poi?
«Imbarazzo. E una profonda irritazione: questa è una protesta che proprio non riesco a capire».

Siamo in pochi. Tutti gli altri dicono che è giusta e comprensibile.
«Se si fosse trattato di un atto di alto profilo, della rivendicazione di una questione meridionale abbandonata dallo Stato, l’avrei almeno compresa. Non giustificata, ma compresa sì».

Scusi, ma non è proprio di questo che s’è trattato?
«Macché, quei fischi non hanno nulla a che vedere con una protesta di stampo meridionalistico. La sequenza degli eventi è chiarissima».

Qual è?
«La contestazione all’inno è venuta in seguito agli insulti dei tifosi della Juve, a una forma di inciviltà che io per primo ho visto sugli spalti».

Claudio Botti dice che gli insulti a Napoli e ai napoletani legittimano quei fischi.
«Claudio è un mio amico, ma sbaglia di grosso. Quei fischi sono vergognosi, irragionevoli. Così facendo consegni l’inno agli avversari, stai dicendo che è loro, non nostro. E perché mai dovrebbe essere loro? Siamo italiani. O vogliamo dar ragione a chi canta Benvenuti in Italia? Fischiare l’inno nazionale è come ammettere di essere un’altra cosa rispetto al Paese. Assurdo».

E allora agli insulti razzisti come si replica? Stiamo zitti?
«No. Apprezzo i tifosi quando, ai veronesi che cantano Forza Vesuvio, replicano con lo striscione Giuletta è ‘na zoccola. È questa la risposta tipica del popolo napoletano, che si sente talmente superiore a quella gente che neppure li considera».

Non è che la protesta contro l’inno è figlia anche della stanchezza? Striscione oggi, coro domani, uno alla fine sbotta.
«No, se capisce che quegli insulti sono figli di un complesso di inferiorità. Ragionateci: parliamo di realtà calcisticamente superiori a noi, che però sentono comunque la necessità di offenderci. La Juve ci aveva battuto 3-0, aveva conquistato lo scudetto numero 28, epperò i suoi tifosi sentivano ancora il bisogno di insultarci. È ovvio che si sentono inferiori alla nostra storia, alla nostra cultura, alla nostra intelligenza. E, per questo, fischiare l’inno è una risposta ancor più sbagliata».

È anche l’unica condannata però. Non lo trova strano?
«Rilevo che sono stati tutti celeri nel censurare quei fischi all’inno nazionale, ma nessuno ha condannato gli insulti a Napoli e ai napoletani».

Dice che la giustizia sportiva dovrebbe iniziare a intervenire?
«Dico che, anche se non altrettanto gravi come i fischi all’inno, è ora che vengano puniti anche i cori offensivi. I buuu razzisti sono sempre stati condannati. La discriminazione contro Napoli, invece, è un problema mai affrontato dal calcio italiano».
Gianluca Abate (tratto dal Corriere del Mezzogiorno)

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