“«E’ un sole acqua», dice il tassista che ha una bella faccia feroce istrionica… Vedo che non ha inserito il tassametro, ma non è che voglia rubare molto sulla corsa, uno o due euro, purché che sia lui a deciderlo, lui che è più intelligente del forestiero. La maledetta presunzione individualista per la quale un napoletano è pronto a dannarsi”. Si legge questo nella prima pagina di “Napoli siamo noi” di Giorgio Bocca. Era il 2006, ne conservo la primissima edizione stampata in Gennaio che corsi ad acquistare. Per uno che vuole fare “il mestiere”- di giornalista si intende – è un must comprare un libro di un grande maestro del giornalismo, soprattutto se affronta problematiche che riguardano la città in cui vivi, che dovresti raccontare e dove stai cercando a fatica di farti le ossa peregrinando tra piccole e grandi redazioni. Avevo 24 anni e avevo appena iniziato la mia prima importante esperienza con la redazione napoletana di Repubblica, ricordo l’enorme stato confusionale che mi procurarono quelle pagine. Scalfari, Mieli, Battista, De Bortoli, Franco, Anselmi, Bocca: i loro “fondi” hanno costruito inconsapevolmente parte della mia formazione. Non avevo però la maturità per avere consapevolezza completa di giudizio. L’articolo di un “grande” lo si leggeva per apprendere più che per informarsi. E allora fu una sorta di shock quel libro: non ne condividevo neppure una virgola o un punto, ci trovai invece il protagonismo cavalcante di tutti quelli che surfano sulle rovine della mia città senza averla vissuta, senza averne compreso le essenze.
Successe un po’ come quando vedi un genitore fare un errore e di colpo comprendi che anche loro sono esseri umani che perdono quella patina di sovrannaturale che per anni gli avevi fatto appartenere. Scompaiono befane e babbi natale e cresci mettendo i piedi ancora piccoli nel mondo degli adulti. Giorgio Bocca mi servì a “demitizzare” le grandi penne italiane.
Non entro nel merito del florilegio di banalità che sono contenute in quel libro. Su ogni parola, rigo, capitolo ci sarebbe da discutere, disapprovare e solo a volte convenire. Lascio soltanto un video che è facilmente reperibile su youtube per far comprendere le inutili provocazioni che voglio ancora sperare siano frutto della senilità e non dell’esperienza che quell’uomo ha accumulato nella vita: http://www.youtube.com/watch?v=KDG_-GIrpCQ
E’ un’intervista a “Che tempo che fa” dove semi-augura l’eruzione del Vesuvio, manco fosse un ultras del Verona, con sottolineatura di applauso del pubblico in studio.
Se non avessi imparato nulla ora chiederei a Bocca di apparirmi in sogno e darmi un numero da giocare per compensarmi dei 14 euro (allora sudatissimi) che spesi per acquistare il suo pessimo libro. Non lo farò. Gli riconosco di essere stato un grande. E i grandi anche quando sbagliano di grosso sanno insegnare. Gli auguro, però, adesso che è nel mondo della verità, di farsi accompagnare in un giorno della sua eternità da qualche napoletano in giro per le strade e per i vicoli di questa città. Forse, senza bisogni di protagonismo, riuscirebbe con la sua intelligenza a comprendere anch’egli che Napoli è tanto tanto altro di più dei luoghi comuni come l’immaginario tassista che prova a fregare i due euro. Non se ne ravvedesse, confesserò anch’io di essere affetto da «quella maledetta presunzione individualista per la quale un napoletano è pronto a dannarsi». Addio Bocca. Spero verranno altri “grandi” dopo di te con i quali poter crescere e imparare ancora.
di Valentino Di Giacomo