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Abbronzato, una birra in silenzio e Moscardelli come mantra

Comincia oggi una rubrica di Deborah Divertito, napolista doc, dedicata ai personaggi delle curva B dove lei in pratica vive.

Quando arriviamo sugli spalti della curva, lui è già lì. Spicca da lontano con il biancore della camicia  a maniche corte e l’abbronzatura ancora intatta. E una birra nella mano sinistra che segue  immobile nel bicchiere di plastica i suoi movimenti da un sediolino all’altro. E’ nervoso. Lo siamo tutti. E’ la prima di Champions al San Paolo.  Lui non è mai puntuale. Di solito resta fuori lo stadio sempre un po’ di tempo prima di varcare il tornello. Aspetta il resto della comitiva, comincia a brindare e a dispensare sorrisi e incoraggiamenti. Perché lui incoraggia, sì, ma  sempre fino a poco prima del fischio d’inizio. Dopo, è tutta un’altra storia.
Dicevo…è raro vederlo lì prima di noi. Di solito dobbiamo chiamarlo per sapere quanti posti dobbiamo conservare con le unghie e con i denti.
Ma questa è un’occasione troppo importante. Ed è fondamentale essere lì a pregustare ogni minuto del pre-partita. Si viene da un deludente zero a zero preceduto da una ormai abituale sconfitta col Chievo a Verona. La squadra ha bisogno di noi e lui lo sa. Per questo è visibilmente molto teso.
Ci salutiamo stringendoci con forza le  mani. Ma è la luce che abbiamo negli occhi il nostro vero saluto. Ci capiamo subito. Quello che dobbiamo fare è sederci tutti i vicini, mantenere i posti per chi non è ancora arrivato e aspettare che lo spettacolo abbia inizio. O almeno lo speriamo.
Il pre-partita è una serie di considerazioni sulla sua forma fisica, leggermente arrotondata dopo il matrimonio. Dice orgoglioso di non aver mai fatto  diete e in effetti non ne avrebbe bisogno.  Forse ci piace solo prenderlo un po’ in giro e farlo reagire alle nostre sollecitazioni. E ricordargli che adesso il Napoli non è la sua unica fede. Anche se per la curva, e solo per la curva, è l’unica che conti davvero.
E nel frattempo attende l’ingresso in campo dei nostri mangiando biscotti e biscottini. Fame chimica da drogati d’azzurro. Lo accompagniamo volentieri in questo delirio. E’ incollato alla sedia. Si alza soltanto quando deve salutare il mitico “Uaglio’ chi ‘o e?”,  per quanto ci riguarda unico venditore ufficiale di bevande in curva B.  Tanto che il suo grido di battaglia lo abbia riprodotto anche a Liverpool e a Manchester nel settore azzurro.
Ora è sorridente.  Fossette ai lati e occhio lucido. Comincia a salire l’emozione. Emozione che scarica, come tutte le domeniche, scavalcando almeno un paio di volte i tanti tifosi ammassati sulle scale per andare in bagno. E così lo vediamo allontanarsi chiedendo “permesso” e lo rivediamo sbucare dal groviglio di sciarpe azzurre grazie alla sua camicia limpida, quasi da marinaio.
Si risiede, continua a guardarsi intorno, ma non parla. Resta seduto e le sue prime parole dopo circa due ore sono rivolte a un amico una fila più sopra:
“ Mauri’, ho le gambe paralizzate per l’emozione!”. Si, questa  un’occasione troppo importante.
Quando la partita comincia, ecco che si alza come tutti noi. Ma non con i piedi sui sediolini, come tutti noi. No. Lui scaramanticamente la partita la intravede da dietro gli amici. Posto tra una fila e l’altra, dalle spalle di chi gli sta davanti fa capolino la sua testolina. E qui di solito comincia la trasformazione. Dall’incoraggiamento pre – partita si passa al pessimismo  dei 90 minuti. Non immaginate, però, una rogna che si lamenta sempre e che non è mai contento. Al contrario! Tutt’altro! Uno che non la smette mai di parlare, che si arrabbia pure, ma che vuole bene al suo Napoli e a tutti noi che gli stiamo intorno.
Di solito è così. Di solito.
Ma questa è un’occasione troppo importante. La musichetta Champions va registrata e lo fa anche lui come il 90% dei tifosi che è lì con noi. Poi, il silenzio. Due boati e urla disumane sui due goal del Napoli nel primo tempo. Poi, il silenzio.  Ad un certo punto ha nominato Moscardelli. Il motivo non è dato saperlo. Nessuno ha capito cosa stesse dicendo su Moscardelli. Avremmo tanto da dire anche noi su Moscardelli, ma non ci sembrava quello il momento. A lui sì e non abbiamo capito perché.
Ha sofferto a fine partita per qualche punizione di troppo del Villarreal e lì abbiamo temuto uscisse fuori il demone tormentatore di tante partite. Invece, il silenzio. E al triplice fischio dell’arbitro, le lacrime liberatorie.
Lui è uno che ci ha abituato alle lacrime di fine partita. Ma queste erano diverse. Di solito sono lì a dimostrare la sua umanità e si vedono, non le nasconde. Stavolta sono lacrime di tensione e di felicità allo stesso tempo. L’emozione è stata tenuta dentro per troppo tempo. Ventuno anni, per l’esattezza.
Ma questa era un’occasione troppo importante. E lui l’ha vissuta così

Deborah Divertito

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