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In un negozio sportivo di Parigi domandai: «Il Napoli?». Lui rispose: «Oui, tout azur!»

Lo sport, la moda, gli sponsor, la pubblicità. Abbiamo visto, accettato, rifiutato, sopportato o somatizzato ogni tipo di intrusione nel giro lungo degli anni che ci hanno condotto qui, alla vigilia di un nuovo campionato e di un rinnovato Napoli con impegni plurimi sul campo. Scritte orizzontali sulle maglie, loghi, simboli, simboletti, slogan, scritte piccole e minime qua e là sulle divise dei giocatori. “È la pubblicità, bellezza”: segno di modernità, di innovazione, di introiti utili a far prosperare le società calcistiche e consentire ottimi investimenti. Abbiamo vissuto, da osservatori, una svolta decisiva nel mondo del calcio e di altri sport. Il calcio come un essere mitologico dalla doppia testa: quella del gioco, delle partite, del tifo più o meno calmo; e quello dei contratti di collaborazione con le imprese, i marchi, le sigle dei “patroni”. Giudizi di merito? A ciascuno il suo. È progredito l’universo del foot ball o è peggiorato? Forse verrà il giorno dell’analisi complessiva e dei bilanci. Ma a questo punto del cammino, un particolare di pura estetica ci mette di fronte alla riflessione. Il Napoli giocherà in maglia grigia negli incontri di Champions? I Padri fondatori scelsero l’azzurro con risvolti bianchi, lieti di aver dato vita a una metafora della città, celebre per quel colore inimitabile. E al bordo dei calzettoni neri (in segno di eleganza) fecero girare due risvolti sottili, ancora in bianco e azzurro. Più tardi anche i calzettoni si armonizzarono con la maglia e le sagome dei calciatori apparivano in campo come tasselli di un mosaico luminoso. Quando a Napoli arrivava una squadra avversaria dai colori sociali simili, i partenopei vestivano per l’occasione magliette bianche, e poi anche rosse. Ma se non ve n’era bisogno, l’azzurro era il solo colore. Anche nelle sfide di Coppa (e non si trattava di Champions) che talvolta si guadagnavano. Qualche mese dopo la conquista del primo scudetto, mi trovai per lavoro a Parigi. Sugli Champs Elisèe fui attratto da una grande vetrina colma di maglie d’ogni colore, di tante squadre europee. Era la bottega ufficiale del “Paris-Saint Germain”. Al centro dell’esposizione, undici maglie di un intenso azzurro, sistemate di fronte e di risvolto, con lo scudetto da una parte, i nomi dei calciatori dall’altra. Entrai, e al sorridente commesso dissi: “Il Napoli, eh ?”. E lui: “Oui, tout azur!”. Tutto azzurro: nel mondo così ci riconoscono (e a volte ci amano). Mimmo Liguoro

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